Coronavirus, Fusari direttore della Rianimazione di Ravenna "Ecco come gestiamo l'emergenza"

Romagna | 05 Aprile 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
«Abbiamo agito in tempi brevissimi, modificando la nostra organizzazione interna anche in relazione agli altri reparti». Maurizio Fusari dirige la Rianimazione agli ospedali di Ravenna, Faenza e Lugo. Il suo staff, composto da una sessantina di medici, è dunque in prima linea di fronte all’emergenza Covid-19 che ha imposto anche in provincia un riallestimento per garantire una maggiore disponibilità di posti letto: «A Ravenna tutti i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono positivi ma per fortuna non tutti i posti sono occupati: abbiamo infatti trasformato i quattro letti tecnici in genere utilizzati per il recupero post-anestesia in postazioni per pazienti non Covid, oltre ad aggiungere altri quattro letti Covid. La capienza originaria di Ravenna è così passata da 12 a 20 posti». 

FAENZA E LUGO
A questa dotazione si aggiungono gli otto posti di terapia intensiva di Faenza, destinati a pazienti negativi, e i dieci di Lugo: «All’Umberto I  ne avevamo sei ma ne sono stati ricavati altri quattro dall’ex unità coronarica. Possiamo dunque dire che sull’intera provincia la Rianimazione può accogliere fino a 26 persone che hanno contratto il virus e sono in condizioni critiche». Un lavoro che per Fusari ha avuto un grande impatto psicologico ed emotivo sugli operatori: «Qui, davvero, si sta facendo un grande allenamento, anche perché le proiezioni epidemiologiche che ci fornisce l’Igiene pubblica sono stime. Ogni giorno va raddrizzata la barra del timone per rispondere ai cambiamenti che nel frattempo sono sopraggiunti». 

TURNI E COLLABORATORI
Sui carichi di lavoro dei suoi collaboratori, però, la situazione non ha secondo Fusari portato aggravamenti: «Eravamo già un po’ sotto organico e quindi i turni erano più lunghi. Il Coronavirus non ha portato altre modiche, anche se ovviamente si lavora con maggiore intensità, stress e preoccupazione. Dal canto mio, passo circa 14 ore in ospedale, poi continuo a lavorare per telefono, dormendo circa cinque ore per notte. Al risveglio, il primo pensiero è telefonare in Rianimazione per sapere che cosa è successo quando ero a casa. Del resto il mio è un lavoro che si fa per passione. Mia moglie fa il mio stesso mestiere a Bologna, da anni condividiamo questa abnegazione». Per il medico, il fatto di stare tante ore in reparto a pianificare e controllare l’evolversi della situazione è stata un po’ la forza di Ravenna: «Ci siamo fortunatamente potuti preparare a ricevere l’epidemia sia guardando a cosa stava succedendo in Lombardia che attraverso il confronto con alcuni amici medici di Piacenza: il diktat era quello di svuotare i letti, che ovviamente non significa dimettere le persone ma riorganizzare gli ospedali per fare spazio. La manovra che è stata messa in atto non è stata di poco conto, basti pensare che abbiamo portato la Pneumologia sullo stesso piano della Rianimazione e della Medicina d’urgenza, cosa che aiuta l’integrazione continua tra specialisti in fasi diverse della malattia. In tutto questo, devo riconoscere che i miei collaboratori sono molto in gamba e riescono a tenere in vita, con qualità, tutti i servizi che avevamo anche prima come, tengo molto a sottolinearlo, l’analgesia per il parto: da fuori si potrebbe pensare che in un momento critico come quello attuale alcune attività siano state sospese ma non è così. Le donne che vengono a partorire qui, comprese quelle del Lughese vista la momentanea chiusura del Punto nascita dell’Umberto I, possono continuare con l’epidurale. Questo fa rima con qualità sociale, un tema che non deve passare in secondo piano nemmeno quando c’è un’emergenza». Per stare al passo, va precisato che sono stati assunti tre specializzandi all’ultimo anno del percorso di studi, possibilità concessa dal carattere di eccezionalità previsto dalle ultime normative: «Questo ci permette di sottolineare che non raccogliamo gli ultimi malcapitati ma continuiamo a essere attenti alla qualità, specie in discipline delicate come quelle della rianimazione e dell’anestesia». 

«LE CAUTELE»
Per il primario resta importante anche il fatto di tutelare il riposo e la salute di medici e infermieri: «Il Coronavirus, per gli ospedali, non sarà cosa breve. Quando i contagi sul territorio saranno pari a zero, gli ospedali saranno ancora pieni. Ecco perché dico che dobbiamo essere in forze per affrontare la situazione presente e futura, vista anche la sospensione dei piani ferie e la mancanza di qualche operatore che è a casa per motivi precauzionali».  Fusari, prima che l’emergenza scoppiasse, aveva messo in conto le ripercussioni: «Avevamo davanti i dati cinesi, sufficienti a farci temere. Ero consapevole che se il Covid-19 fosse arrivato anche qui, ci saremmo dovuti rimboccare le maniche. Questa non è un’epidemia, ricordiamolo: è una pandemia». Guardando al bicchiere mezzo pieno, Fusari ci vede una crescita di umanità: «Il carico di lavoro che stiamo sperimentando fa il paio con l’emergere di empatia anche negli operatori all’apparenza più tecnici, concreti e operativi. Qualche giorno fa parlavo con un’infermiera, che mi raccontava come le sembri strano vedere la sala d’aspetto senza i familiari dei pazienti. Le persone ricoverate da noi sono spesso sedate, noi in circostanze normali abbiamo contatti con i parenti. Ma ora, anche se il reparto è pieno, da un certo punto di vista è anche vuoto. E non sappiamo quanto questo andrà avanti. Io credo che anche a fine estate, come una pallina che rimbalza, potremmo avere nuovi picchi, anche se saranno gli epidemiologi a fare le stime più giuste».
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