Ciclismo, l'avventura di Manuele Tarozzi: «Le fughe, l’influenza e il tifo della gente: il mio primo Giro d'Italia è stato indimenticabile»

Romagna | 31 Maggio 2024 Sport
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Luca Alberto Montanari
Con più di un mese di anticipo sulla tabella di marcia (compirà 26 anni il prossimo 20 giugno), Manuele Tarozzi si è fatto già uno splendido regalo di compleanno: la prima partecipazione in carriera al Giro d’Italia. Sul suddetto regalo, dopo tre settimane toste e molto impegnative, il corridore faentino ha messo pure il fiocco, riuscendo ad arrivare al traguardo finale di Roma, completando così la corsa rosa: 102° posto in classifica generale dopo un’esperienza «davvero indimenticabile». 
Tarozzi, partiamo proprio dall’inizio e torniamo indietro di qualche settimana: si aspettava di partecipare al Giro d’Italia e, una volta arrivata la convocazione, di completarlo fino a Roma?
«All’inizio della stagione il Giro d’Italia era il mio obiettivo, quindi ci credevo, anche se la convocazione è arrivata proprio alla fine, in extremis. Quando mi hanno chiamato ed è uscito il mio nome nella lista ufficiale della Bardiani, ho faticato a dormire la prima notte. Nei primi due giorni ho sentito moltissimo la pressione, poi, quando sono partito, diciamo che è diventata una corsa abbastanza normale e più facile da gestire, perché non hai tempo di renderti conto della fatica che stai facendo».
Se lo aspettava così difficile, sempre che lo sia stato?
«Il primo obiettivo era partecipare al Giro, il secondo finirlo. Ci sono riuscito e devo dire che ce l’ho fatta abbastanza agevolmente. Pur non facendo classifica, puntavo a mettermi in mostra e ad arrivare davanti in alcune tappe e ce l’ho fatta. Mi sono anche fatto vedere in alcune fughe, quindi sono contento di questa esperienza».
Qual è stato il momento più difficile?
«Dal punto di vista fisico, direi dopo la quinta tappa, a Lucca, nella frazione degli sterrati in Toscana. Mi sono misurato la febbre dopo gli sterrati a Rapolano Terme e avevo 40. Per fortuna il giorno dopo c’era la cronometro e mi sono salvato. Se ci fosse stata una tappa impegnativa, sarebbe stata dura resistere. Con la crono, non avendo particolari esigenze di classifica, mi sono rimesso a posto e ho recuperato».
Qual è stata la tappa che ricorda più volentieri?
«La terzultima, quella di Sappada vinta da Vendrame, quando sono arrivato undicesimo. Mi sarebbe piaciuto chiudere dentro i 10 e, se non mi avessero staccato nel finale a un chilometro dal gran premio della montagna, ce l’avrei fatta. In altre tappe sono entrato in fuga, come a Livigno, ma poi mi hanno staccato sul Mortirolo. A Sappada stavo bene, era l’ultima occasione per arrivare con una fuga e ci ho creduto fino alla fine».
Anche nella tappa romagnola si è messo in mostra, pur senza alcuna possibilità di vittoria, trattandosi di una frazione per velocisti.
«Esatto, però è stato bello attraversare la Romagna e passare davanti nella mia Faenza. Sul cavalcavia della stazione avevo tantissimi amici, la mia famiglia e anche la mia fidanzata. Non sono riuscito a riconoscerli, ma il tifo si sentiva, eccome».
Da cosa è rimasto conquistato al suo primo Giro d’Italia?
«Dalla gente e dall’affetto dei tifosi. Mi sono sentito un corridore di prima fascia, spesso in mezzo a due ali di folla, come sul Monte Grappa. In 20 chilometri di salita, non c’erano più di 100 metri di strada senza spettatori. Non ho mai visto così tanta gente, tifosi di tutti e per tutti. Davvero uno spettacolo emozionante e indimenticabile».
Dal punto di vista fisico, al netto dell’influenza, come si è sentito?
«Dal punto di vista fisico, dopo aver recuperato dall’influenza, la gamba ha sempre girato. A Roma mi aspettavo di arrivare più cotto. In altre corse a tappe più brevi, al massimo di 10 giorni, ero più stanco. Non avrei fatto un’altra settimana, ma non sono arrivato morto: evidentemente ho gestito bene le forze».
Visto da dentro e da collega, il vincitore Pogacar è davvero di un altro pianeta?
«Sì, è un mostro e lo ha dimostrato».
Lei da giovane lo aveva battuto.
«Sì, ma sono già passati 8-9 anni. Curiosamente lo avevo sconfitto proprio in Friuli. Nella tappa di quest’anno di Sappada si passava proprio sulle strade dove lo avevo battuto da Juniores. Lui non era ancora questo fenomeno, oggi fa impressione ed è il più forte di tutti. Chi prova a seguirlo, dura al massimo 10-15 secondi e poi scoppia».
Cosa pensa del ciclismo italiano?
«Non abbiamo un fenomeno come Tadej, ma il livello è buono, direi migliore rispetto a qualche anno fa. Noi in squadra avevamo Pellizzari, un 2003 che ha fatto un figurone e che, senza Pogacar, avrebbe probabilmente vinto due tappe. Tiberi ha fatto classifica comportandosi molto bene, Milan ha vinto tre volate. Anni fa eravamo messi peggio».
Cosa si porta dietro da questa esperienza?
«Sono maturato mentalmente, ho capito come dosare le energie, come sprecarne meno, come sparare e centrare il colpo. Quando fai un Giro d’Italia, dicono che cambia il motore. Lo saprò tra un paio di mesi. Al momento non posso rispondere. Vedremo…».
Ora cosa ha in agenda?
«Mi sposo il 16 giugno con Silvia, a Faenza. Poi potrò penserò alla prossima corsa, che  saranno i campionati italiani, in programma la settimana successiva in Toscana. Ma ora sono concentrato sul matrimonio, che rappresenta un altro bellissimo traguardo da raggiungere e da festeggiare tutti insieme».
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