Ciclismo, Baroncini tra gioie e... dolori: «Gli infortuni hanno pesato»
Tomaso Palli
«Sì, avrei voluto dare molto di più alla squadra in questa prima parte». L’approccio al professionismo di Filippo Baroncini non è stato semplice. E non perché siano mancati i risultati che, quando è salito in sella, ha sempre portato a casa. Ma per qualche problema fisico di troppo, tra un ginocchio malconcio e la frattura del radio rimediata a metà febbraio nella prima tappa dell’Algarve. Poche colpe quindi per il ciclista di Massa Lombarda che corre con la Trek-Segafredo e che il 26 agosto prossimo compirà 22 anni. Ma il talento c’è e si è sempre visto: non solo perché campione del mondo in carica Under 23 ma anche, e soprattutto, per un doppio e prestigioso quinto posto ottenuto ai campionati italiani, questa volta con i «grandi», sia a cronometro (22 giugno) che in linea (26 giugno).
Baroncini, dove si trova ora?
«A Livigno. Resterò qui per circa 18 giorni. È stata una mia decisione e sono quindi solo: negli anni ho trovato molto beneficio in questo tipo di allenamento e ho scelto di tornare».
Saliamo in bici: è soddisfatto dei risultati ai campionati italiani?
«Sì, lo sono certamente. E nell’immediato lo si è sempre con questi risultati anche se dopo, ripensando a cosa poteva venire meglio, qualche rammarico c’è. Ma nel complesso sono due buoni quinti posti».
Qualche problema di troppo ad inizio stagione ma ora come sta ora? E qual è il bilancio dei primi mesi?
«Ora sto bene, braccio e ginocchio si sono ripresi totalmente. È stato un inizio difficile con un po’ troppi intoppi che mi hanno condizionato facendomi saltare tutte le gare più belle a cui tenevo maggiormente. Avrei voluto trovare maggiore continuità. Quindi: belli questi ultimi due quinti posti dove stavo bene ma… per come sono fatto io non sono contento e non posso dirmi soddisfatto».
Quali gare le sono mancate di più?
«Dal Fiandre alla Roubaix, poi il Gand-Wevelgem in Belgio… diciamo tutte (sorride, ndr). Per il Giro non ero dentro ma non si sa mai: facendo bene le Classiche, magari, mi sarei ritagliato un posto».
Infortuni a parte, quali difficoltà ha incontrato?
«Credo che la difficoltà più grande sia il non sapere come approcciare i compagni più esperti e i grandi capitani, non conosci il loro carattere e, ad esempio, non sai se siano aperti o meno allo scherzo. A questo aggiungo la difficoltà di saper leggere le loro reazioni una volta portato a termine un compito: è andata bene o si aspettavano di più? Ma si tratta soprattutto di dubbi e preoccupazione perché, per il resto, l’approccio con la squadra è stato ottimo».
Conosce già il programma per la seconda parte di stagione?
«Ancora no. Stiamo stilando il nuovo calendario e non c’è nulla di certo. Potrebbero esserci Wallonie (Belgio) e Polonia ma non ne sono ancora sicuro».
Qual è il suo obiettivo?
«Vorrei trovare continuità e portare a casa almeno una vittoria. E poi spero anche in una convocazione importante con la maglia della Nazionale».
A proposito di Nazionale, la nostra. Perché molti giovani faticano a trainare il movimento?
«L’aspetto mentale è fondamentale e cruciale nell’approccio. Molti giovani, e vale in generale, passano tra i pro e pensano di essere già Pogacar o Remco (Evenepoel, ndr) ma non è così. E poi arrivo uno stress mentale per la mancanza di risultati che non dovrebbe esserci. Ognuno è fatto a modo suo e magari io maturerò tra due anni o tra sei mesi, non si può sapere. Vivo il quotidiano pensando a me stesso, a crescere e non a quello che fanno gli altri».