Ciclismo, arriva il weekend del Mondiale: il fuoriclasse dell'Italia è... Cassani

Romagna | 24 Settembre 2020 Sport
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Andrea Bocchini
La domanda è la stessa per tutti gli appassionati di ciclismo: chi vincerà il Mondiale di Imola a 52 anni dal trionfo di Vittorio Adorni? La risposta è difficile, anzi difficilissima perché la rassegna iridata imolese è un Mondiale anomalo in una stagione che non ha precedenti nella storia del ciclismo con l’interruzione poco prima della Sanremo e poi 4 mesi di lockdown prima di ripartire con un calendario concentratissimo. Il Mondiale di Imola è una fetta di prosciutto in mezzo al Tour de France e al Giro d’Italia, succulenta sì, ma con il rischio di non essere digeribile a chi ha appena concluso una corsa a tappe di tre settimane, né a chi si prepara a correrla. E questo rende il pronostico difficilissimo e nello stesso tempo aumenta l’interesse attorno alla gara.

IL PERCORSO
Il percorso è duro e con i suoi 5000 metri di dislivello può competere tranquillamente con una tappa dolomitica del Giro d’Italia. Ma non c’è nessuno Stelvio da scalare, ma solamente il Mazzolano e la Gallisterna per un totale di 18 salite e quasi 50 chilometri in totale di ascesa. Il risultato è una piccola Liegi-Bastogne-Liegi di Romagna, o meglio una Imola-Riolo-Imola, con il percorso che si adatta perfettamente agli interpreti delle classiche belghe delle Ardenne, mentre potrebbe risultare indigesto agli scalatori puri.

I FAVORITI
Il Belgio è in assoluto la squadra più forte, costruita attorno al grande favorito Wout Van Aert ma con ciclisti come il campione olimpico Van Avermaet in grado di mettersi in proprio. Dietro, come nell’ordine d’arrivo della Milano-Sanremo 2020, c’è il francese Julien Alaphilippe che però sembra aver concluso il Tour de France con il serbatoio in riserva. Completano la cerchia dei favoriti il talento svizzero Hirschi, il danese Fuglsang, il polacco Kwiatkowski, il canadese Woods e l’inossidabile Alejandro Valverde. Ed è poi impossibile non segnare con una croce rossa il duo sloveno Pogacar-Roglic che ha dominato il recente Tour de France.

L’ITALIA
Se fosse un Mondiale di calcio si potrebbe dire che l’Italia è una squadra discreta allenata da un fuoriclasse. A cavallo degli anni ‘90 e 2000 gli azzurri erano sempre la Nazionale più forte con quattro-cinque campioni mal gestiti e incapaci di sacrificarsi per il bene comune. Le nazionali di Cassani hanno invece sempre dimostrato di essere un gruppo e di riuscire a capitalizzare anche in assenza del fuoriclasse. In più Cassani ha praticamente disegnato il percorso ed è colui che, più di tutti, ne conosce le caratteristiche e le criticità. L’Italia è però sempre ancorata all’eterno Vincenzo Nibali e al talento mai esploso di Diego Ulissi. Sembra davvero troppo poco.

I FORFAIT
Gli assenti hanno sempre torto. Resta però il punto interrogativo su alcuni atleti che hanno boicottato il Mondiale e che sembravano avere tutte le carte in regola per poterselo giocare. Inspiegabile l’atteggiamento dei britannici che rinunciano ai gemelli Yates e a Geraint Thomas per affidarsi ad un ventunenne (Pidcock) che deve ancora esordire tra i pro. Criticabile l’atteggiamento dell’olandese Mathieu Van Der Poel che, dopo una Tirreno-Adriatico da protagonista, ha rinunciato per il percorso «troppo duro». Stessa giustificazione per il tre volte iridato Peter Sagan e per il campione uscente Mads Pedersen. Quattro Mondiali davanti alla tv, quando forse era più consigliabile onorare la prova iridata e presentarsi.
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