Cibo, l’arte casearia dei formaggi romagnoli

Romagna | 25 Gennaio 2020 Le vie del gusto
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Squacquerone, Raviggiolo, Casatella o Pecorino? In Romagna per gli amanti dei formaggi c’è solo l’imbarazzo della scelta. D’altra parte questa terra ha una produzione casearia dalle origini davvero antiche: già nel primo secolo dopo Cristo c’erano allevamenti in cui veniva prodotto cacio per formaggio pecorino, di forma rotondeggiante e proveniente dalla cagliata di latte ovino crudo. Testimonianze più dettagliate sui formaggi romagnoli arrivano dallo scalco lucchese Antonio Frugoli, che nel Seicento, offrendo consigli sulla preparazione di pranzi e banchetti, cita spesso i formaggetti di Romagna, sottolineando le loro piccole dimensioni. Riferimenti sulle varie tipologie dei formaggi romagnoli si trovano sempre più numerosi in diversi trattati storici e gastronomici dei secoli successivi e alcuni di questi diventano sempre più apprezzati. E’ il caso, ad esempio, dello Squacquerone, la cui fama si consolida nel corso del Novecento e che viene celebrato da diversi romagnoli illustri tra cui Aldo Spallicci, che gli dedica addirittura la poesia «La piê cun è squaquaròn». «Tra du quadrett ad piê / ‘na feta ad squaquaròn / ad’ quel dla su stasòn / ‘d quel che pr’ignia tant / apena a mastighê / e’ squezza d’ignia cant». Ovviamente il componimento si completa con l’abbinamento con un buon bicchiere di Albana.
Di origini antiche e molto legato all’ambiente rurale, dove era consuetudine produrlo e consumarlo in inverno, lo Squacquerone è diventato oggi un prodotto DOP con un discplinare in cui vengono codificate procedure, caratteristiche e zona di produzione, che comprende le province romagnole e Bologna. Un altro formaggio molto amato in Romagna è il Raviggiolo, le cui prime tracce storiche risalgono al Cinquecento, quando alcuni di questi formaggi furono portati in dono a Papa Leone X. Ingrediente per eccellenza dei cappelletti all’uso di Romagna secondo Pellegrino Artusi, il Raviggiolo è un caratteristico formaggio fresco a pasta bianca ottenuto dalla cagliatura di latte vaccino crudo, latte bovino, raramente ovi-caprino, di provenienza locale. Con latte di pecora intero si produce invece il Pecorino del pastore, patrimonio soprattutto delle aree collinari della provincia di Ravenna, ma un tempo prodotto di scambio con la pianura durante la transumanza delle greggi nelle pinete ravennati. Mentre da sempre le famiglie contadine della Bassa Romagna producono la ricotta vaccina fresca tradizionale dell’Emilia-Romagna e le caciottine di latte di vacca.
In questo mese portiamo in tavola i già citati cappelletti all’uso di Romagna dell’Artusi, dove nel ripieno figura il buonissimo Raviggiolo. L’abbinamento perfetto con questa minestra in brodo è una bottiglia di Romagna Albana Docg secco. La nostra scelta va su quella di Podere La Berta, cantina sui colli di Brisighella: un vino color oro che profuma di frutta e di miele e coniuga perfettamente freschezza e pienezza di gusto, invitando a riempire nuovamente il bicchiere.
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