Riccardo Isola - Ci hanno provato, in Spagna, a fare i furbi. Non ce l’hanno fatta. Per fortuna nostra e dei consumatori nazionali e internazionali. Una nuova vittoria, contro quello che viene definito italian sounding (l’utilizzo improprio di simboli e richiami all’italianità, ndr) che porta un danno d’immagine e di palato al made in Italy agroalimentare stimato in oltre 100 miliardi di euro l’anno. Non proprio briciole. E proprio dalle briciole, quelle della piadina, è arrivato un nuovo punto a favore della tutela dei marchi e del know how culinario italico. Questa volta a segnare la «rete» contro la contraffazione è stato il Consorzio promozione e tutela della Piadina Romagnola Igp che ha annullato il tentativo di contraffazione del marchio sul mercato inglese da parte di un gruppo spagnolo.
CRONACA DI UNA VITTORIA
L’insidia, proprio sul mercato inglese, parte in agosto dell’anno scorso quando si apprende che al registro dei marchi del Regno Unito sono state depositate due domande di registrazione (sia denominativo che figurativo) dei marchi «Piadine di Modena». Da qui l’azione del Consorzio di Tutela che nel settembre 2019 decide di contrastare con un’azione legale il tentativo di contraffazione del marchio. Apertosi un contenzioso e depositata istanza di opposizione presso l’Ufficio marchi e brevetti del Regno Unito, grazie anche al contributo del socio Deco Industrie che produce piadina con il marchio Loriana, per l’espletamento delle pratiche internazionali, nelle ultime settimane arriva lo sblocco positivo della vicenda con l’Ufficio inglese che accoglie le opposizioni presentate dal Consorzio e annulla le domande di registrazione dei marchi «Piadine di Modena» (sic). Un’azione tempestiva ed efficace, che per ora, fissa il risultato a: Piadina Romagnola 1 – Brexit 0.
LE VERE PIADINE
Non c’è una vera e propria unicità nella creazione del pane povero della Romagna, dai confini nordici del territorio fino al litoraneo Adriatico, questo cerchio di antico impasto di farina, acqua e strutto assume volumi, forme, connotazioni differenti. Non cambia però un fatto: rimane sempre e al di là delle sfaccettaure prese uno dei simboli alimentari italiani e per la precisioni romagnoli. Dall’imolese fino alla provincia di Ravenna passando per quella di Forlì-Cesena, Rimini e sforando nelle Marche con il territorio pesarese, la piadina assume identità differenti. Se fino agli anni ‘40 del secolo scorso veniva realizzata utilizzando farina di frumento, strutto, sale ed acqua avendo uno spessore massimo di 2 cm e il diametro sopra i 40 cm, dagli anni ‘50 le dimensioni e lo spessore si ridussero arrivando ad un massimo di 30 cm di diametro e uno spessore che non supera il centimetro. La caratteristica peculiare, che ne caratterizza anche il sapore e la cottura finale è proprio il metodo di cottura, da sempre realizzato utilizzando teglie di terracotta, il famoso «testo», sostituite, dagli anni ‘70, da quelle in ghisa, ferro o alluminio. Un’altra importante introduzione dell’era moderna fu quella di aggiungere, all’impasto, anche un delicato agente lievitante, quasi sempre il biacarbonato, per rendere l’impasto finale più soffice, friabile e conservabile. Se questa è la tipologia «tradizionale» in senso lato, c’è anche quella in uso nel territorio riminese. Questa piadina è più sottile, circa 2/3 mm al massimo di spessore, senza lievito e molto flessibile, capace così di poter essere piegata su se stessa abbracciando il «ripieno» in modo quasi intimo, ma comunque gustoso.