Cassanigo, Bellosi, Quinzàn, Parmiani e tanti altri ricordano Giovanni Nadiani

Romagna | 24 Luglio 2022 Cultura
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«Si è interrotta una delle esperienze culturali più stimolanti e significative a cavallo tra Novecento e Duemila in Romagna». Non usa troppi giri di parole Renzo Bertaccini, libraio e animatore culturale faentino, quando si tratta di ricordare l’importanza di due cari amici, suoi, di Faenza e della Romagna tutta, ovvero Giovanni Nadiani (a sei anni esatti dalla dipartita) e Guido Leotta (che ha lasciato questa valle di lacrime ormai otto anni fa). L’iniziativa che a cadenza annuale ricorda l’operato e il lascito di Nadiani in particolare (ma in realtà di entrambi), domenica 24 luglio tornerà a tenersi a Cassanigo, nei pressi della chiesa del piccolo paese tra Cotignola e Faenza in cui Nadiani nacque e crebbe, prima di trasferirsi nella città delle ceramiche.
Il programma della giornata sarà particolarmente ricco, senza contare la messa in memoria del poeta che si terrà a Cassanigo alle 10.30 del mattino. Alle 21 andrà in scena un vero e proprio spettacolo: Imbacont - Nonostante tutto, ossia parole e musica per Giovanni Nadiani, con gli interventi di Giuseppe Bellosi, Agnese Fabbri e Francesco Gabellini, seguite da letture a cura di Gianni Parmiani, dalle canzoni di Quinzân e dalla proiezione del di A ‘‘so ingambarlê di Marilena Benini, basato sulla canzone arrangiata sempre da Quinzân su testo poetico di Nadiani.
All’evento collaborano l’Istituto Friedrich Schürr e Arena delle balle di paglia di Primola, con il punto ristoro del circolo parrocchiale attivo dalle 19.30.
«Il lavoro da agitatori culturali di Giovanni Nadiani e Guido Leotta – commenta Renzo Bertaccini -, le loro opere e la loro amicizia sono per me delle presenze costanti. Credo che sia importante mantenere vivo il loro ricordo per rendere chiaro il grande lavoro, non ancora degnamente riconosciuto, che Giovanni e Guido hanno consegnato alla cultura faentina. Con la loro scomparsa si chiusa è la “palestra” che si era aperta con la rivista Tratti, con l’editore Mobydick, con il Folk Festival. Un progetto nel quale un poeta poteva dialogare con un traduttore, un musicista poteva confrontarsi con un attore, si realizzavano libri, riviste, spettacoli. La creatività trovava una dimensione concreta e soprattutto collettiva. Non è che adesso manchino bravi poeti o bravi musicisti ma manca la dimensione collettiva del fare le cose, cioè sentirsi parte di un tutto».
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