Casola, per Beppe Sangiorgi la festa dei frutti dimenticati  «Deve saper tornare a far assaggiare la storia»

Romagna | 15 Ottobre 2021 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - «Seppur è un momento di grande festa e di enorme visibilità per il territorio, quella dei frutti dimenticati rischia di trasformarsi, se non ritorniamo un po’ alle origini, in una festa e un momento esclusivamente commerciale, seppur importante, e non di tipo narrativo-culturale che ne ha, invece, rappresentato la forza ispiratrice e il vero segreto del successo in questa sua lunga vita». Così la pensa Giuseppe Sangiorgi, uno degli ideatori, assieme all’attuale assessore al turismo del Comune di Casola Valsenio, Maurizio Nati, su una delle feste che hanno portato Casola Valsenio alla ribalta nazionale. Per contenuti, forza evocativa e capacità di abbattere la distanza tra produzione agricola e consumo finale. Quella dei frutti dimenticati, che festeggia quest’anno i trent’anni di vita, è un punto di riferimento per chi voglia raccontare un’autentica biodiversità vitale e produttiva. «Tutto nasce da lla necessità di trovare qualcosa di vero e unico - ricorda Sangiorgi - all’inizio degli anni ‘90 per invogliare turisti e curiosi. Prendendo spunto dall’orto dei frutti dimenticati di pennabilli abbiamo pensato a una cosa simile ma differente per natura e per racconto. Quella giusta dose di poesia accompagnata da tanta veridicità fatta di persone, culture e colture dimenticate». da lì nasce il successo attraverso un racconto in cui persone e prodotti diventano le due facce della stessa medaglia. Oggi, forse, questo spirito ha lasciato il posto all’eventoo fine a se stesso e rischia di essere un boomerang. «Penso che anche i produttori - spiega Sangiorgi - dovrebbero ritrovare quella spinta e quella curisoità ulteriore di promuovere e valorizzare ancora di più queste produzioni autoctone. In questo modo - aggiunge - anche nei momenti di festa collettiva come quella dei due week-end d’ottobre, potranno tornare a sperimentare quella gratificazione di poter far conocere al grande pubblico (sono migliaia le persone da tutta Italia che raggiungono Casola in questi due appuntamenti di inizio mese, ndr) i loro prodotti, piccole gemme di tradizione che si fanno contemporaneità produttiva». Non ce ne sono tantissime di manifestazioni di tipo popolare che si basino su prodotti di assoluta nicchia come quelle che si trovano in questa parte di Appennino faentino. Un successo e una primogenitura figlia di un successo arrivato da una convergente, condivisa e conseguente confluenza d’intenti da parte del mondo produttivo, istituzionale, ristorativo e culturale. Un felice connubio che oggi ha bisogno di essere mantenuto vivo e capace di adattarsi alle esigenze sempre nuove di conoscenza, consapevolezza e capacità permeante nei gusti e nei palati delle persone. I frutti dimenticati hanno avuto importanti ripercussioni sulla cultura gastronomica di questi territori basti pensare «alla numerose serate fatte al ristorante Fava, in cui oltre ai piatti si raccontavano le storie, il dietro le quinte più autentico di questi piccoli frutti d’Appennino». Oggi i ristoratori stanno poroseguendo su questo indirizzo, una riprova è la Locanda del Cardello, e sono veicolo prezioso della sedimentazione collettiva di un racconto vero e territoriale. Nel corso del tempo si sono allargati gli spazi e gli ambiti in questo vero e proprio incubatore di memoria contadina grazie all’iserimento e alla contaminazione all’interno del filo rosso dato dai frutti anche mangiari e protagonisti del passato. Dal cosiddetto Sambudello, noto come salsiccia matta, fino ad arrivare, più recentemente, ai vini prodotti da uve autoctone le cui potenzialità sono altissime e non ancora tiotalmente espresse. Stiamo parlando e ragionando di piccole produzioni, come è giusto e bnaturale che sia, ma per andare «in brodo di giuggiole» le giuggiole bisogna coltivarle, amarle e farle apprezzare. Per provare, intanto, a salire su questa Arca della memoria basta intraprendere il viaggio a sud della via Emilia, sabato 16 e domenica 17 ottobre, risalendo la valle del Senio e arrivando fin sotto le appendici d’Appennino per poter assaggiare e ascoltare questa gustosa storia della biodiversità «di un vivo passato».
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