Casola, lo speleologo Andrea Benassi sulle Alpi Orientali: «Le grotte nel ghiaccio si stanno espandendo, non è un bel segnale per il futuro del Pianeta»

Romagna | 11 Settembre 2022 Cronaca
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Riccardo Isola - Il fascino dell’ignoto, esplorato anche sotto lo zero termico. Percorsi ipogei in equilibrio tra cielo e terra, sotto una coltre ghiacciata alla scoperta delle meraviglie nascoste da secoli e millenni di storia evolutiva. Il tutto in un sottile e precario equilibrio a causa dell’inarrestabile cambiamento climatico accelerato dall’attività antropica degli ultimi due secoli di storia dell’umanità. Non c’è catastrofismo in queste parole, ma evidenza «scientifica» ed esplorativa. Lo testimonia l’esploratore, antropologo e speleologo casolano Andrea Benassi che nelle settimane scorse, accompagnato da Roberta Foschi e da Elena Quadalti, hanno perlustrato l’area alpina del ghiacciaio di Vallelunga, valle laterale alla Val Venosta nella parte occidentale dell’Alto Adige, in provincia di Bolzano. Situato sul versante nord della Palla Bianca (3.738 m s.l.m.), questo è il ghiacciaio più alto altoatesino presente nelle Alpi Venoste. Una lingua di ghiacchio in progressiva e veloce ritirata, le temperature ne sciolgono sempre crescenti porzioni a ritmi sempre più serrati, che disegna uno stato di salute non proprio idilliaco per queste mega riserve d’acqua dolce. E non è un bene. Una spedizione che ha riservato sorprese importanti e che lasciano, questo lo conferma lo stesso speleo raggiunto al telefono nei giorni scorsi pochi istanti prima della partenza per un’altra misisone speleologica internazionale in quel di Creta «margini di approfondimento molto interessanti. Tanto è - ci spiega Benassi - che al rientro dalla spedizione mediterranea che stiamo facendo in queste settimane, torneremo su questa parte di arco alpino per cercare di approfondire ulteriormente ciò che abbiamo appena scoperto. Lo faremo dotati anche di strumentazione ed equipaggiamenti più adeguati per gli studi».

LE SCOPERTE ALPINE
Stando alla pubblicistica di settore e agli studi scientifici, che seppur non sono tanti sono ampiamente accettati dalla comunità scientifica, «la grotta nei ghiacci dura un anno a causa dello scioglimento estivo dovuto all’innalzamento delle temperature e poi, in tardo autunno e in inverno, si richiude. La cosa interessante - illustra l’antropologo casolano - è che l’anno successivo si ripresenta più o meno nello stesso punto. Si parla in questo caso di mulini glaciali». In questa lingua altoaisina, questa estate, di queste imponenti fessurazioni se ne sono trovate tante. Alcune con una presenza scenica dal forte impatto con archi di scioglimento anche alti 50 metri e lunghi 20 metri. Anche se «L’arcata della bocca del ghiacciaio diventa sempre più sottile» ha più volte evidenziato Stefan Plangger, gestore del rifugio Pio XI alla Palla Bianca. «Partiamo dal presupposto - ci tiene a evidenziare l’eslporatore - che più una grotta è ampia, larga e profonda in un giacciao più questo sta dimostrando la sua lenta e inesorabile agonia. Un segnale inequivocabile che sta morendo. Di fatto nel ghiacciaio di Vallelunga abbiamo trovato un vero “gruviera”. La cavità che abbiamo esplorato con più cura s’inoltrava per circa mezzo chilometro (sui 4 di estensione dell’intero  ghiacciaio ndr)». In quest’area e da questi ghiacci prende vita uno dei fiumi più importanti d’Italia: l’Adige. «E’ proprio da queste altitudini, siamo attorno ai 2.600/2.800 metri sul livello del mare per arrivare poi a 3.800 nella massima sommità del ghiacciaio, che prende il via il lungo percorso idrografico del fiume Adige. Sorgenti che però abbiamo visto siano interessate da una situazione molto particolare quella dell’acidificazione delle acque a causa della presenza di metali pesanti che vengono rilasciati dalle rocce franate sul ghiacciaio stesso».

PROSPETTIVE... NERE
«Quella che abbiamo trovato - spiega Benassi - è sicuramente una situazione complessa e per questo come detto, torneremo soprattutto per approfondire e studiare l’acid rock drainage». Un fenomeno nuovo e per certi versi «inquietante» visto che è legato anche e soprattutto al repentino cambiamento climatico. «Lo scioglimento del ghiaccio e del permafrost alpino - spiega lo speleologo - innesca l’acidificazione delle acque prodotte dai ghiacciai neri coperti di detriti. Qui i solfuri metallici presenti nelle rocce naturalmente, una volta liberati dal ghiaccio e a contatto con acqua e aria, innescano processi biochimici che portano alla formazione di acido solforico e quindi ad acque con ph estremamente basso. Noi abbiamo registrato ph pari a 2.8. Di fatto l’acido delle batterie della macchina. Questa trasformazione crea anche calore , un ulteriore fattore che accelera lo scioglimento degli stati di ghiaccio sovrastanti». Questa cosa  sembra essere una novità, negativa, i cui effetti «potrebbero intrecciarsi anche con l’evoluzione delle grotte e quindi portare a una ulteriroe e crescente erosione del ghiacciaio». A testimonianza di questo rischio Benassi sottolinea come «osservando l’area nel periodo 2003-2021 si nota l’accelerazione prodotta dai collassi, nonché la rapida trasformazione della lingua del ghiacciaio nero. Questi ultimi dieci mesi - aggiunge - non hanno prodotto sostanziali cambiamenti, anche se hanno portato a una ulteriore regressione della massa glaciale con perdita media di circa 10 metri sui margini». Della serie continuamo così… e prima o poi, ma è senza ombra di dubbio più corretto dire, senza essere tacciati per ambientalisti estremi o uccelli del malaugurio, più prima che poi, la pagheremo.
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