Riccardo Isola - Per capire quale patrimonio di saperi e di sapori andrà a chiudersi nello scrigno della memoria c’è tempo fino a inizio ottobre. Anche se un desiderio intimo e personale dell’attuale gestrice, Katia Fava, potrebbe posticipare il fatidico giorno a novembre, in occasione del 63° anniversario della fondazione di questo simbolo indiscusso della storia culinaria romagnola. Stiamo parlando del ristorante Fava. Istituzione, nell’evoluzione e modernizzazione della ristorazione della valle del Senio, che vide l’alba il 12 novembre 1958, con uno stile in linea con le esigenze nutritive e di palato tipiche di quegli anni, grazie a Giovanni Fava e la moglie Luisa Ricciardelli. Una presenza dai sapori forti che ha attraversato l’evoluzione della cultura alimentare di questi decenni e territori, arrivando a modellarsi diventando interprete e apripista di una proposta culinaria più riflessiva, espressiva, naturale e colorata: quella dei fiori, delle erbe aromatiche e di campo. Un patrimonio di esperienza in cucina che dopo cinque generazioni e, come detto, di piccole grandi rivoluzioni gustative, detta al passo all’anagrafe.
Katia Fava, deus ex machina di quel Rinascimento in tavola che ha caratterizzato questo territorio appenderà così il grembiule al chiodo, e non per il fine turno quotidiano, ma per sempre. «Il percorso del ristorante Fava è ormai giunto al termine. Dopo una vita, oltre 60 anni, e come una vita, si ferma al capolinea per sopraggiunti limiti di età dopo cinque generazioni» ha dichiarato urbi et orbi la stessa figlia d’arte da quel virtuale balcone chiamato Facebook.
iù volte nelle colonne di questo giornale abbiamo avuto la fortuna di poter condividere e raccontare quali percorsi culinari e culturali si sono avvicendati tra i fornelli di via Cenni. Lo abbiamo fatto perchè Katia Fava ha dato un’accelerazione, di contenuti e proposte, che hanno fatto da battistrada per molti altri colleghi.«Nel 1979 - ha confermato la stessa Fava - abbiamo iniziato sotto la guida del professor Augusto Rinaldi Ceroni (ideatore del Giardino delle erbe omonimo, inserito nel circuito Museale della provincia di Ravenna, che oggi annovera circa 480 specie di piante officinali, ndr) - sperimentando e rivoluzionando l’uso delle erbe in cucina. Da qui siamo arrivati negli anni ‘90 ad ampliare l’offerta con l’utilizzo deli frutti dimenticati e menù degustazione stagionali».Un successo che nulla a che vedere con il concetto “estremo” e contemporaneo di vegetarismo alimentare, ma ricercatezza di composizioni organolettiche che dal passato si sono tuffate nell’attualizzazione dei canoni gustativi diventati poi moda, ricercatezza, quotidianità. La piccola differenza che a Casola Valsenio, sull’Appennino Tosco-romagnolo, questo racconto nel piatto è iniziato sul finire del ‘79.
Per questo, ed è un invito appassionato, c’è ancora poco tempo per poter essere testimoni di questa importante firma culinaria. Intanto dallo staff ci tiene a «ringraziare tutti i clienti che non hanno mai smesso di credere in noi, che hanno condiviso i momenti speciali delle loro vite nel nostro ristorante e che hanno apprezzato – conclude - il nostro lavoro offrendoci, al contempo, amicizia e rispetto, regalandoci sorrisi e soddisfazioni, compagnia e risate, ma anche parole di conforto nei momenti di difficoltà».