Casola, i dipendenti della Saint-Gobain scendono in piazza domenica 6: «Il lavoro non si tocca», scatta la mobilitazione

Romagna | 04 Febbraio 2022 Cronaca
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Riccardo Isola - «Non si scherza sulla testa e sul futuro di 140 famiglie del territorio. Non si può chiedere, pretendere e imporre che dall’oggi al domani si chiuda un’attività industriale che dà reddito e sostentamento a diverse comunità a Sud della via Emilia contrapponendo la necessaria tutela ambientale con l’altrettanta e fondamentale dimensione del lavoro». Questo è quanto pensano i lavoratori e le lavoratrici, ma anche la comunità politico-amministrativa di Casola Valsenio e di Riolo Terme, dell’azienda di cartongesso della Saint-Gobain, che in questi ultimi mesi si trovano sotto un «fuoco nemico» sparato da ambientalisti e speleologi, che chiedono la chiusura dell’attività estrattiva nella cava di Monte Tondo. Richieste sempre più incalzanti che sono schizzate, anche a seguito della candidatura ufficiale del Parco della Vena del Gesso romagnola, tirando in ballo l’accordo che si stipulò tra le parti in causa (Comuni, Regione e proprietà della cava) basato su uno studio commissionato all’Università vent’anni fa. 

LA STORIA 
Proprio uno degli artefici di questo inizio di percorso, l’ex sindaco riolese Valeriano Solaroli ricorda come «l’accordo si basava sul’ultimo dei quattro scenari che l’Università ci presentò da uno studio commissionatogli. Di fatto quello attualmente in vigore. Bisogna però evidenziare - sottolinea - che il “vincolo” sarebbe stato tale nel momento in cui tutte le esigenze e necessità messe nero su bianco si fossero realizzate. Intendo quelle della tutela ambientale e del ripristino ma anche la cubatura estrattiva concessa alla proprietà della cava. Su questo ambivalente aspetto il patto era stato preso e doveva vedere corrisposte entrambe le istanze». Tornando all’attualità stando a quanto ha affermato la Saint-Gobain proprio una di queste variabili, la quantità di gesso estratto, al termine dei 20 anni trascorsi, non è stato raggiunto. Da qui la richiesta alla Regione di proseguire nell’opera di escavazione per il futuro. Richiesta che ha fatto saltare “la pazienza” agli ambientalisti e agli amanti dell’universo ipogeo.

L’ATTUALITA’
Dopo le richieste e le «dichiarazioni di guerra» degli ambientalisti, è stato deciso di commissionare un nuovo studio dalla Regione Emilia Romagna, per valutare le varie ipotesi riferite all’area estrattiva del gesso sulla cava del Monte Tondo. Studio, che al di là degli speleologi e delle associazioni di verdi, non soddisfa l’azienda e la comunità politico-amministrativa locale. Il documento, infatti, prevede diversi scenari, tra i quali c’è anche quello, tra l’altro raccomandato dalla Commissione regionale, in cui si impone la chiusura della cava, opzione B, nei prossimi anni. 

LO SCONTENTO
A dar voce allo scontento è stato, tra gli altri, il sindaco di Casola Valsenio, Giorgio Sagrini a cui ha fatto seguito un documento votato all’unanimità dal consiglio comunale (che adesso si vorrebbe portare anche in sede dell’Unione della Romagna faentina ndr). «Al di là di tutto la nostra vera, prioritaria e improcastinabile necessità - sottolinea il primo cittadino - è quella di conoscere e trovare i tempi e le modalità più idonee per aiutare la transizione dall’estrazione in cava ad altre forme di approvvigionamento della materia prima per lo stabilimento. Modalità che sappiamo non si possono attivare da un giorno all’altro.Anche se altri esempi, che hanno tutela ambientale e attività estrattiva in essere, vedi Alpi Apuane, dovrebbe insegnare come le due cose possono andare di pari passo. E soprattutto - aggiunge Sagrini - che tutto questo percorso di riconversione produttivo-industriale tanga conto della necessità di tutelare i livelli occupazionali attuali che interessano 140 famiglie del territorio». Il tutto perché proprio nello studio si fa riferimento in maniera «sicuramente poco dettagliata e lungimirante» alle eventuali ricadute sociali della chiusura dell’attività estrattiva. A essere riportate, per esempio, ci sono percorsi di trasformazione dell’attività aziendale (produzione di materiali a base di solfati) a cui fanno eco traiettorie per l’accompagnamento alla pensione dei lavoratori coinvolti, arrivando a ipotizzare un riassorbimento di diversi lavoratori in attività turistiche delle «di cui - sottolineano i lavoratori - tutt’ora non vi è traccia».

I SINDACATI
Ora, alla luce di questa patata bollente che sta surriscaldando animi e alimentando guerre di trincea sul territorio, hanno deciso di scendere in piazza anche i lavoratori e le lavoratrici dello stabilimento casolano. Lo fanno domenica 6, alle 15 nell’agorà di piazza Sasdelli. «Abbiamo la sensazione - spiegano Antonio Pugliese, Maurizio Bisignani e Roberto Martelli, segretari territoriali rispettivamente di Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil - che la perdita dei posti di lavoro sia considerato un “danno collaterale” tutto sommato sopportabile da parte di qualcuno. Questa conclusione è inaccettabile, si devono trovare soluzioni che salvaguardino il futuro delle famiglie delle lavoratrici e dei lavoratori che operano nella cava e nell’indotto. Il parco della Vena del Gesso e il sistema carsico della zona hanno un valore che nessuno mette in discussione e che deve essere preservato e valorizzato anche con la candidatura a sito Unesco. Questo deve avvenire mantenendo l’esistenza dell’attività lavorativa con tutte le valutazioni e precauzioni del caso in ottica conservativa e di ripristino delle aree dismesse. La chiusura dell’attività porterebbe a un gravissimo danno economico per la vallata con inevitabili ripercussioni anche sul Parco, una vallata “povera” e spopolata diventa un ambiente non curato e abbandonato. Inoltre la chiusura del sito, - concludono - anche con le azioni di ripristino porterebbe a una situazione di inevitabile degrado della zona nell’area industriale coinvolta. Si devono trovare soluzioni che permettano la tutela del lavoro, la tenuta del tessuto economico della vallata e la tutela del paesaggio».
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