Casola, Cristiano Cavina racconta il suo primo giallo ambientato in Riviera, «L’ananas no»

Romagna | 23 Giugno 2024 Cultura
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Federico Savini
«Ho scritto un giallo ambientato in riviera. E in effetti sono due novità, ma sono abbastanza sicuro che chi mi conosce ritroverà molto del mio stile, un linguaggio molto mio e personaggi romagnoli, oserei dire molto casolani, che in qualche modo rimandano ai miei esordi». Insomma, si annuncia un libro pienamente «alla Cavina» il nuovissimo L’ananas no, che lo scrittore casolano ha pubblicato per Bompiani. Per la prima volta Cristiano Cavina si misura sul terreno del giallo, con tanto di fatto di sangue, indagini e colpi di scena. Lo fa raccontando di Manolo Moretti, ex sovrintendente della polizia penitenziaria e ora pizzaiolo del Gradisca della fantomatica localitò rivierasca Galatea a Mare. Uno che riconosce le persone dalle pizze che ordinano e che suo malgrado è finito a lavorare per Vittor Malpezzi, ex pregiudicato con il quale battibecca di continuo. Ed è proprio nell’agrodolce atmosfera dell’estate romagnola che si consuma una vicenda criminosa che porterà Moretti ad imbracciare nuovamente i ferri del mestiere poliziesco.
Per Cavina è il terzo romanzo Bompiani, testimone di un periodo prolifico che l’ha visto passare dall’acclamato e intimo La parola papà a quel Il ragazzo sbagliato, scritto con Giada Borgatti, uscito in libreria il giorno stesso dell’alluvione e passato inosservato proprio per una sfortunatissima coincidenza. «Non ho avuto proprio il tempo di promuoverlo – racconta Cavina -, erano troppe le cose priorità da fare in quei giorno. Ovviamente mi dispiace, anche perché ne ho parlato in alcune scuole suscitando una certa curiosità negli adolescenti, e chi lo ha letto ne ha parlato molto bene, ma diciamo che nella sostanza è stato una specie di smarrimento editoriale».
«L’ananas no» è un giallo, per te è una prima assoluta. Come l’hai affrontato?
«È un genere che leggo da sempre con passione, al pari dell’horror e della fantascienza, dei quali forse si sapeva di più. In realtà ne avevo pure scritte di cose sul filone, ma le ho sempre tenute per me. Ad ogni modo, avevo questa idea e proprio a Faenza, in occasione della festa del Post, ho preso un caffè con la mia editor Giulia Ichino e l’idea del giallo romagnolo me l’ha proposta lei. Aggiungendo che c’entrasse anche la pizza, una materia che da pizzaiolo ovviamente conosco bene e ne ho anche già scritto (La pizza per autodidatti, 2014, nda). Quindi l’ho inserita molto volentieri nel mio canovaccio e mi sono divertito da morire a scrivere questo libro».
Quanto ha di autobiografico il protagonista?
«Un po’ di cose di sicuro, in particolare un brontolio mio, che poi hanno tanti pizzaioli. Ma soprattutto mi sono ispirato a un pizzaiolo con il quale ho lavorato davvero e che sul serio un ex poliziotto della penitenziaria, in questo caso in pensione e molto appassionato di pizza. Poi nel libro c’è ovviamente tantissima invenzione, a cominciare dalla località in cui è ambientato, Galatea a Mare, che penso abbia un nome credibile e si situa abbastanza precisamente tra Milano Marittima e Lido di Savio. Non ho scelto un paese reale per non impelagarmi e rischiare di fare errori. Il protagonista, Manolo Moretti, tra l’altro è originario di Purocielo, ha ancora molti legami con quel territorio, e insomma si respira anche un clima un po’ montanaro che richiama i miei libri casolani. Poi Manolo ha la singolare incapacità di tenersi lontano dai guai, incappa in un fattaccio e viene praticamente obbligato a indagare…».
È il tuo primo libro di ambientazione rivierasca?
«Di fatto sì, non posso dire di conoscere il mare bene quanto la collina ma, insomma, da romagnolo so di cosa parlo quando parlo di riviera, con i suoi aspetti divertenti ma anche poetici. Ho tanti ricordi delle colonie estive, e ovviamente ce n’è una, degli ex salesiani, anche nella località in cui è ambientato il romanzo, poi ci sono il rotondone, il viale lungo mare, il borgo antico sul porto canale, la parte vecchia del paese lontana dal mare, le seconde case, gli alberghi, i turisti, gli abitanti folkloristici coi quali ho scatenato il dialetto, con quel confronto generazione tra i protagonisti, che sono degli over 50 testimoni di una Romagna che va scomparendo, alle prese con il mondo che cambia e ad esempio la giovane cameriera tiktoker della pizzeria, appassionata di true crime. E poi c’è tutto il mondo folle degli ordinatori delle pizze…».
A proposito, la pizza con l’ananas è davvero così richiesta?
«In realtà neanche tanto, ma c’è chi la vuole ed è al centro di un dialogo tra il protagonista e il suo aiutante pakistano, buffo ma anche saggio, che pur ammettendo che in Italia non ci sono piantagioni di ananas, risponde a Moretti che non ce ne sono nemmeno di cacao. Eppure il gelato lo mangiamo volentieri… Diciamo che il protagonista è caratterizzato anche dalle sue fisime, e ovviamente inorridisce di fronte alla richiesta di una pizza con lo squacquerone e i würstel…».
Che ovviamente sul menù della pizzeria non saranno scritti «würstel», ma in modo sbagliato…
«Sì, certo, come in ogni pizzeria che si rispetti è scritto sbagliato, ma non ti anticipo come. In particolare Vittor Malpezzi, il titolare, ha un repertorio di strafalcioni anglo-romagnoli niente male…
È possibile che Manolo Moretti ricompaia in altri romanzi? La serialità è ormai un must dei gialli.
«Io avrei già i titoli per altri i cinque libri! E di due anche la trama. Diciamo che mi piacerebbe toccare un po’ tutte le città romagnole, e in effetti il datore di lavoro di Manolo ha un’altra pizzeria che gestisce personalmente, la moglie ha un catering a Lugo, la figlia un agriturismo in collina e il figlio una pizzeria chic a Ravenna. Insomma, si può arrivare dappertutto e per esempio ho già in mente un omicidio all’autodromo di Imola…».
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