Case famiglia, Ravenna prima in regione. Ma nel 67% ci sono difformità
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È il territorio comunale di Ravenna, su tutta l’Emilia-Romagna, a offrire il maggiori numero di case famiglia e gruppi appartamento per anziani, una tipologia di accoglienza che va distinta sia dalle case residenza per non autosufficienti che dalle case di riposo e comunità alloggio, visto che possono accogliere fino a sei ospiti autosufficienti. A dirlo è il monitoraggio della Regione aggiornato a luglio 2019, che fotografa come il distretto ravennate (che comprende anche Russi e Cervia) disponga di 83 strutture per un totale di 478 posti, pari all’1,8% sulla popolazione che ha 75 anni o più. La media regionale è, invece, dello 0,4%. Se i numeri paiono confortanti, è dal report regionale sulle verifiche effettuate nel 2017 che emergono le criticità. Sulle 34 strutture controllate (che corrispondono a 196 ospiti), 23 hanno presentato delle difformità: si va dal superamento del numero massimo di ospiti all’assenza di personale qualificato, dalla presenza di anziani non autosufficienti alla documentazione incompleta. Numerose difformità, spiega il report, sono comunque di lieve entità e anche dove le strutture hanno un numero di ospiti superiore alla capienza dichiarata, lo sforamento è di poche unità.
«CONTROLLI ACCURATI»
L’ultimo controllo, la responsabile della casa famiglia «La Perla» di Borgo Montone Manola Montanari, l’ha ricevuto nel settembre del 2018: «Le verifiche dell’Asl e dei Nas sono molto stringenti e riguardano l’igiene degli anziani e dei locali, il rispetto dei requisiti sulla sicurezza, il personale, i corsi di aggiornamento. Insomma, per lavorare bisogna essere molto attenti». Montanari ha una Oss come dipendente e dal 2001, quando ha aperto, ha visto cambiare molte cose: «All’inizio della mia attività arrivavano anziani intorno ai 70-75 anni, che rimanevano con noi molto tempo. Oggi le famiglie sono più povere e tendono a rimandare il più a lungo possibile il momento in cui manderanno in struttura i genitori anziani. E così capita che entrino in casa famiglia persone anche novantenni, che nel giro di poco rischiano di perdere il requisito dell’autosufficienza e devono, quindi, essere mandate in altre tipologie di strutture».
«MIA MADRE STAVA BENE»
A parlare della sua esperienza di figlia è la ravennate L.Z., che quando ha avuto bisogno di collocare la madre, affetta da Alzheimer, ha iniziato a contattare le varie strutture: «Non sapevo nemmeno che cosa fossero, le case famiglia. Fino a che me ne è stata proposta una a Punta Marina. Dopo qualche tempo, però, ha chiuso per problemi di costi e mia madre è stata trasferita in quella di via Cesarea, della stessa proprietà, passata poi alle cronache per maltrattamenti. La casa dunque è stata chiusa, anche se mia madre si trovava benissimo. Certo, ogni badante è diversa: c’è quella che lo fa per soldi e quella che per lo fa per amore. Sta di fatto che stare in un ambiente così piccolo e familiare, con un rapporto molto più stretto e diretto col personale, le faceva bene». L’anziana, dopo la chiusura, è stata collocata in una casa di riposo in centro a Ravenna, dove le cose sono molto diverse: «La dimensione assomiglia più a quella di un piccolo ospedale, gli ospiti non hanno sempre a che fare con le stesse persone. Mia madre, all’inizio, aveva smesso di parlare. Ora si trova meglio ma rispetto alle case famiglia è un altro paio di maniche».