Carlo Lucarelli tra il nuovo romanzo «Bell’abissina», la cattura di Messina Denaro, i femminicidi e l’editoria post-Covid

Romagna | 28 Gennaio 2023 Cultura
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Federico Savini
«Se oggi parliamo di Mafia, la nostra attenzione si dovrebbe concentrare non tanto sugli aspetti sanguinari o classicamente malavitosi del fenomeno, ma su quelle zone grigie della società che permettono il dilagare sotterraneo di questo male. Lo dico non soltanto perché la Mafia muta insieme alla società, ma anche perché questo meccanismo di sottile e non del tutto consapevole connivenza è quello che permette a tanti fenomeni deteriori, come anche i femminicidi, di perdurare nelle pieghe della società». Sono molti i temi che è cosa buona e giusta toccare quando si ha l’opportunità di parlare con Carlo Lucarelli, lo scrittore originario di Mordano tra i più eclettici, lucidi e seguiti del panorama nazionale che ha da poco pubblicato un nuovo romanzo giallo, Bell’abissina. Un’indagine del commissario Marino (Mondadori), che sotto molti aspetti parla del nostro tempo pur essendo ambientato nel 1940 (il libro verrà peraltro presentato a Lugo, al Caffè Letterario dell’Ala d’Oro, lunedì 6 marzo; lunedì 30 alle 11 sarà anche alla presentazione di «Romagna, mosaico di vita» ai Salesiani a Faenza).
Lucarelli indaga l’Italia del Fascismo da tanti anni, con o senza «la scusa» di ambientarci un giallo, ma di particolarmente intrigante in Bell’abissina c’è anzitutto il ritorno di un personaggio, il commissario Marino, che era rimasto «fermo» a Indagine non autorizzata, Giallo Mondadori del 1993. E se nel 1937 ricreato da Lucarelli trent’anni fa Marino indagava letteralmente nelle fogne tra Bologna e Rimini, nel 1940 lo ritroviamo a Cattolica, sulle tracce dell’assassino di una donna che probabilmente è un imprenditore che ha fatto fortuna nelle Colonie d’Africa; praticamente un intoccabile secondo il regime. «Dall’ultimo incontro con Marino per me sono passati decenni ma lui è invecchiato solo 4 anni! - dice Lucarelli, ridendo -. Devo dire che quando lo scrissi avevo già in mente di riprendere il personaggio, per approfondirlo con delle altre idee, ma poi sono mancate le occasioni. Di solito non mi piace fare troppi libri di seguito sullo stesso personaggio, ma in questo caso lo iato è stato lunghissimo. Serviva l’occasione per tornarci su».
E com’è arrivata?
«Sempre attraverso Giallo Mondadori. Negli anni ’90 mi chiesero un giallo classico in ambientazione novecentesca e io approfittai di Marino per raccontare il 1936, un anno dell’era fascista che ancora non avevo raccontato. Il nuovo spunto è arrivato sempre da Giallo Mondadori, alle prese con vari anniversari, e ne ho approfittato per approfondire meglio la conoscenza di Marino, con un’indagine ambientata nel 1940».
Viene subito da pensare al più noto commissario De Luca, anch’egli al lavoro durante il fascismo. Ma sono personaggi molto diversi, giusto?
«Sì, De Luca è un personaggio ambiguo dal punto di vista politico, secondo me non sa nemmeno se è fascista oppure no. Invece Marino è un antifascista militante. Ha le idee chiare ma ovviamente si muove su un terreno delicatissimo, facendo parte di un corpo di polizia d’élite, al diretto servizio del regime, che però ha la paradossale caratteristica di indagare nelle fogne, sporcandosi le mani in tutti i sensi. La presa di coscienza di Marino era già chiara alla fine del primo romanzo e questa volta ho potuto indagare la sua personalità, scavargli dentro anche dal punto di vista umano».
Bell’abissina parte dall’omicidio di una donna, un tema che lei conosce anche come presidente della Fondazione Emiliano-Romagnola per le vittime dei reati gravi. Apparentemente la sensibilità generale nei confronti della violenza sulle donne è radicalmente mutata, eppure i dati raccontano che sul totale delle violenze, quelle perpetrate ai danni di donne e bambini sono in una maggioranza a dir poco schiacciante. Come se lo spiega?
«Sulla sensibilità generale è vero che i passi avanti sono stati tantissimi, specie se pensiamo che quarant’anni fa in Italia il delitto d’onore era praticamente legale… Cose come il codice rosso o la definizione di “stalking” per un preciso genere di reati sono importanti, così com’è importante il fatto che i reati siano in calo, ma resta il fatto che i femminici, cioè gli omicidi di donne compiuti proprio perché si trattava di donne, e dunque non incidentali, sono quelli che calano meno. E lo stesso vale per le violenze che non arrivano all’uccisione. “Femminicidio” non è una bella parola, ma è una parola importante: ha avuto ricadute concrete su un tema delicatissimo. Probabilmente nel nostro essere maschi esistono zone grigie che possono dare adito a degenerazioni in un alcuni di noi. Da giovane io leggevo libri, parlavo poco, stavo in disparte e non facevo casino. Per queste caratteristiche, la madre di un mio amico mi trovava “strano”, mi mancavano troppe caratteristiche che lei riteneva essere proprie “per natura” degli uomini. Credo che gli uomini che si ritengono “normali”, non violenti, siano quelli che più di tutti dovrebbero affrontare questi temi, perché magari siamo portatori sani di un virus potenzialmente pericoloso per le donne. Magari è una sciocchezza ma parlarne sarà certamente utile. È un po’ come nei contesti mafiosi, bisogna rischiarare le zone grigie; la luce è importante che la facciano i cittadini comuni, più che i pentiti, le cui rivelazioni in genere non hanno fini civici…».
Impossibile non chiederle cosa pensa dell’arresto di Matteo Messina Denaro.
«Il fatto che sia stato arrestato a casa non è affatto strano e spero non diventi una scusa per non indagare sui suoi viaggi all’estero, che pare siano stati numerosi. Quello che si deve fare ora è proprio rischiarare la zona grigia che dicevo, che ha permesso a un boss come lui di vivere in libertà e lo ha fatto non solo grazie alla paura e all’omertà, ma anche a una rete fatta di soldi e pagamenti. Le latitanze si coprono in questo modo. Se Messina Denaro farà rivelazioni utili alla Polizia, non lo farà perché “si è pentito”, ma magari per un disegno che mira a colpire qualche suo rivale. Lo Stato ora deve combattere la Mafia comprendendo che oggi è più un fenomeno affaristico che di omicidi».
Tornando a Bell’abissina. E’ ambientato per la gran parte a Cattolica, in Romagna. Come mai?
«Già il primo libro del commissario Marino era ambientato in riviera, a Rimini, e poi la proposta di scriverlo mi è stata fatta al MystFest di Cattolica, che è davvero una delle patrie del giallo italiano. Poi conosco bene la città e c’è molta documentazione su com’era al tempo della guerra. Mi piaceva l’idea di raccontare come cambia il clima vacanziero dal 1936, quando pareva che col fascismo andasse tutto bene, al 1940, quando l’ombra della guerra incombeva sul Paese. Una sensazione che in qualche modo siamo tornati a provare con la guerra in Ucraina».
La pandemia ha colpito un po’ tutti i settori professionali, anche se in modi diversi. Ora che sostanzialmente ne siamo fuori, che momento vivono editoria e letteratura?
«C’è una rinascita palpabile dopo un periodo strano, che ad esempio io ho affrontato praticamente senza scrivere mentre per molti è stato l’opposto. Per fortuna anche per tanti lettori. Le librerie che hanno affrontato la pandemia nel modo più creativo hanno venduto più di prima, stimolando tante persone a riscoprire il valore del libro. Negli ultimi mesi ho visto spesso gli incontri letterari molto pieni e credo si debba continuare a lavorare secondo la lezione imparata in pandemia, fornendo quindi stimoli continui».
Il progetto Scri.Bo va in questa direzione?
«Tutto sommato sì. Abbiamo praticamente rifondato la vecchia associazione degli scrittori bolognesi, ma Bologna la intendiamo in senso tondelliano, in pratica vale per tutta la nostra regione. Tra gli obiettivi c’è quello di creare in città una casa della letteratura sul modello europeo e magari in futuro anche un festival».
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