Calcio, Luca Ercolani è a Ravenna per completare la riabilitazione: "Al Manchester ho marcato Ibra, ma che emozione quando Mourinho mi chiamava per nome"

Romagna | 17 Aprile 2020 Sport
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Tomaso Palli
Da Ravenna a Manchester. E ritorno. Per inseguire un sogno. Il talentuoso Luca Ercolani è andato via da casa ad appena 16 anni rispondendo all’irrinunciabile chiamata del Manchester United. Ora di anni ne ha 20, di professione fa il calciatore nell’Under 23 e, nonostante un grave infortunio al legamento crociato del settembre scorso, l’ambizione è sempre la stessa: «Cannavaro è il mio idolo - spiega il difensore ravennate - ma ora osservo Maguire (capitano Red Devil, ndr) per umiltà, carisma e capacità di dare l’esempio».
Ercolani, innanzitutto come sta? E ci aggiorni sull’infortunio.
«Sono tornato a Ravenna da oramai un mese e sto bene. Ero in una fase cruciale di riabilitazione e questo stop mi ha un po’ rallentato. Il giardino non è la stessa cosa e, quando in Italia riapriranno parchi e centri sportivi, inizierò con un preparatore in contatto con medici e fisioterapisti dello United».
Avrebbe preferito rimanere a Manchester?
«All’inizio, perché il mio obiettivo era la riabilitazione. Mi mancavano quattro settimane e restando avrei potuto fare tutto nel più breve tempo possibile. Ma poi la situazione è peggiorata ed hanno chiuso il centro sportivo».
Come ha vissuto quel periodo?
«Ero appena tornato a Manchester dopo una settimana di vacanza, tra febbraio e marzo, con la famiglia. Gli allenamenti continuavano mentre in Italia la situazione peggiorava con i miei genitori che mi spingevano a farlo presente in società (ride, ndr). La situazione si è aggravata e ce ne siamo accorti con la presenza costante di chi si occupa delle pulizie. Con la sospensione del campionato, anche gli allenamenti si sono fermati, ma il reparto medico è rimasto aperto. Da infortunato, continuavo a lavorare con medico, fisioterapisti e preparatore atletico. Dopo una settimana, hanno ridotto i giorni al campo poi, venerdì 20 marzo, dopo allenamento, lo staff medico mi ha spiegato che avrebbero lavorato da casa chiudendo il centro sportivo. Il consiglio era di tornare a casa per stare vicino alla famiglia. Due giorni dopo, mi hanno preso l’ultimo volo da Londra per Roma. Un’altra settimana e sarei rimasto bloccato».
Come trascorre il suo tempo?
«Terminata la quarantena controllato quotidianamente dall’Ausl, sono uscito una volta per la spesa. Per il resto cerco di passare le giornate come a Manchester: stessi orari e abitudini per essere pronto in ogni momento. Mi alleno al mattino e, con doppia seduta, anche al pomeriggio, poi mi riposo e trascorro un po’ di tempo con la famiglia che negli ultimi anni non mi sono goduto tanto».
Quando ha realizzato di poter diventare un Red Devil?
«Dopo il secondo provino, nel dicembre 2015. Ne feci uno anche in estate, andò bene ma non benissimo e mi vollero rivedere. Da lì mi dissero che c’erano buone probabilità, ma avrei dovuto aspettare i 16 anni per un contratto a partire dal 1° luglio 2016».
Ha avuto difficoltà all’inizio?
«All’inizio non è stato semplice: al primo anno di U18 ero il più piccolo, ma vista la grandezza e l’importanza della società, è inevitabile adattarsi. Dal secondo anno, ho cambiato marcia sotto tutti i punti di vista, mi sono sempre ripetuto di essere lì per il calcio, il mio sogno più grande».
È poi passato in U23?
«Ero ancora in U18 ma al secondo anno. Ero il più grande e mi aspettavo di essere titolare. Dopo qualche panchina, ho scelto di non giocare con l’U17 ritrovandomi a fare allenamento con l’U23. L’allenatore, scozzese di origini italiane, mi conosceva e da quel momento sono sempre stato con loro sfruttando le mie occasioni».
Si è poi allenato agli ordini di Mourinho?
«Mi ero illuso di poter fare almeno una panchina in prima squadra perché mi allenavo spesso con loro ed alcuni centrali erano infortunati. Un giorno, durante una sessione in palestra al mattino, arrivò la notizia dell’esonero di Mourinho: mi è dispiaciuto molto per il rapporto che avevamo. È stato il momento in cui sono stato più vicino alla prima squadra».
Com’è allenarsi con quei campioni?
«Arrivando da una realtà come Forlì o Cesena, mi è sembrato surreale. Poi ti abitui. Tra U18, U23 e prima squadra c’è massima collaborazione, abbiamo sempre gli occhi addosso ma spesso è meglio non pensarci (ride, ndr)».
Ha parlato del rapporto con Mourinho…
«Il momento più emozionante è stato quando, per la prima volta, mi ha chiamato per cognome. Ho marcato Ibrahimovic, un grande come giocatore e persona, ma nelle esercitazioni mi accoppiava con Anthony Martial. Lui mi odiava, non amando il corpo-a-corpo italiano, ma ricordo che Mourinho, vedendomi, diceva spesso: “Guarda Martial chi ti ho portato oggi”. Le prime volte che Mourinho ti chiama per cognome, ti dà il cinque o ti mette il braccio sulla spalla sono forse meglio di marcare Ibra. In quel momento pensi: mi conoscono davvero».
Si instaura un rapporto con i giocatori della prima squadra?
«Sono rimasto il giovane con cui ti alleni a volte. Ci salutiamo e parliamo condividendo con loro campo, palestre e pranzi, ma poi il rapporto extra campo è poco».
Capitolo Nazionale: l’infortunio le ha fatto saltare il Mondiale U20?
«Non lo saprò mai. Avevo partecipato agli stage pre-Mondiale e il Ct Nicolato, appena due settimane prima dell’infortunio, venne a Manchester. Non disse nulla ma la mia sensazione fu che quel Mondiale non mi sarebbe sfuggito, ma poi, nell’ultima gara di campionato, è arrivata una frattura da stress al 5° metatarso. Ho visto il bicchiere mezzo pieno: non avrei perso partite di club ma solo il Mondiale. Ce ne sarebbero stati altri: U20, U21 e Nazionale maggiore».
Un ritorno in Italia?
«Perché no! Ho giocato solo un calcio giovanile e mi piacerebbe provare il professionismo. Ora, mi trovo molto bene qua e vorrei rimanere il più a lungo possibile. È anche vero che sono in una società fantastica ed enorme, ogni giorno mi rendo conto di quanto sono fortunato».
Tornando ai suoi 15/16 anni: rifarebbe la stessa scelta?
«Assolutamente sì. Ti fa crescere moltissimo e diventare uomo molto presto, oltre a formarti dal punto di vista culturale. Mi ha tolto molto rispetto ai miei coetanei, ma questo sarebbe probabilmente accaduto anche in Italia».
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