Calcio, Jidayi ha abbandonato il pallone per diventare vigile urbano: «Un’esperienza meravigliosa, sarà il mio lavoro fisso»
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Tomaso Palli
«Il rispetto di gerarchie e ruoli, la disciplina e le regole per permettere che le cose funzionino. Perché il sistema squadra è molto simile al sistema comando». Non è certo un percorso che si vede tutti i giorni quello che porta dal campo alla caserma. Ma è ciò che ha deciso di fare il ravennate William Jidayi, ex difensore con quasi 400 presenze tra Serie B e C che, appesi gli scarpini al chiodo, si è messo a studiare per superare il concorso per entrare in polizia. Detto, fatto e così oggi Willy, soprannome di un’intera carriera, veste la divisa come vigile urbano. «Ho sempre creduto che, una volta smesso, non sarei rimasto nel calcio - spiega - volevo dedicarmi a uno stile di vita diverso e avere più tempo per altri interessi».
Jidayi, come si sta trovando nella nuova veste?
«Fino a qui un’esperienza bellissima, totalmente nuova e fuori dai canoni di quella che è stata la mia vita da sportivo. Dopo un percorso da stagionale, senza quindi essere un agente fisso, il mio contratto terminerà a novembre. Ma questi sei mesi sono stati molto importanti perché mi hanno fatto capire che il mestiere mi piace e in futuro punterò a farlo diventare il mio lavoro fisso. Inoltre, mi sono trovato molto bene anche a livello umano incontrando persone sempre disposte ad aiutare».
Molti rimangono nel calcio, lei no. Come mai?
«Sono stato leggermente influenzato da mio fratello, anche lui calciatore prima e oggi impegnato in questo lavoro. Nel mio anno sabbatico, quando ti fai mille domande sul futuro e la realtà ti si presenta davanti, mi sono messo a studiare per provare questa esperienza che mi incuriosiva. L’interesse è cresciuto e ora eccomi qua con la fortuna, e forse anche la bravura, di aver fatto questo percorso di sei mesi che mi ha dato consapevolezza e una nuova strada».
A proposito di studio, è stato un percorso difficile?
«È stato faticosissimo e durissimo riaprire i libri. Mi sono diplomato come perito agrario a suo tempo e poi ho mantenuto la passione per la lettura ma leggere non è come studiare. La cosa che più mi ha aiutato è la forte motivazione: così come accaduto nel calcio, si è ripetuto in questo caso. E alla fine, grazie anche all’aiuto di mio fratello e altri agenti, ci sono riuscito ed è stato un ulteriore tassello per me. Il duro lavoro e la forte motivazione, nella vita, ti possono far raggiungere obiettivi apparentemente difficili».
Sia sincero: le manca almeno un po’ il calcio?
«Naturalmente il calcio rimane nel mio cuore perché mi ha dato tutto. Amicizie, formazione personale e la possibilità di girare l’Italia: quello che sono oggi, lo devo al calcio. Ma quando vedo una partita che una volta giocavo, so cosa si prova a festeggiare per un buon risultato, l’abbraccio con i compagni. Il gusto di festeggiare dopo il duro lavoro della fatica è ciò che più mi manca. Un qualcosa che solo il calcio mi dava. E anche quel sano equilibrio che ti dà lo sport. Una volta avevi la motivazione della prestazione, oggi devi ricercarla per andare in palestra, allenarti, regolarizzare l’alimentazione e tutto quello che ne consegue».