Calcio, dai Neri al «mito» Sacchi fino al tandem Mandorlini-Ballardini: oggi Ravenna e Faenza sono sparite dalla cartina della Serie A
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Tomaso Palli
La Romagna, terra di sport. Ma restringendo il campo alla sola provincia di Ravenna e al calcio, non si trovano calciatori o allenatori oggi impegnati in Serie A, un dato curioso e oggettivamente impensabile fino a qualche anno fa. L’ultimo, in ordine di tempo e per numero di apparizioni recenti a calcare i campi (e le panchine) del massimo campionato, è stato Davide Ballardini, esonerato dal Genoa con il passaggio di proprietà in autunno. Difficile trovare un motivo concreto o ricercare una spiegazione plausibile a questa penuria di ravennati-faentini che, negli ultimi anni, si sono affacciati alla massima serie. Eppure, la Romagna, accanto alle moto, vive di calcio con piazze importanti come Cesena, che di Serie A ne ha fatta eccome. E allora qui, forse, il problema: Ravenna è la terza città con più abitanti in Italia a non aver mai giocato in A. Una prova? Certamente no, ma forse un indizio.
DA RAVENNA A FAENZA
Se tutte le classifiche dei migliori della storia lo inseriscono alle primissime posizioni (e come dar loro torto), il primo ravennate, di Fusignano, da riportare è certamente Arrigo Sacchi, il più grande di tutti. Il già citato Davide Ballardini porta invece con sé altri due colleghi allenatori. Il primo è Andrea Mandorlini, da giocatore con quasi 300 presenze in A e attualmente allenatore con 122 panchine in massima serie. Il secondo è Claudio Rivalta, oltre 150 apparizioni con le maglie di Perugia, Atalanta e Torino ma oggi allenatore nel settore giovanile della Spal. Scendendo in campo, tra i calciatori ancora in attività, Nicola Dalmonte (al Vicenza ma con sette presenze tra Cesena e Genoa in A) e il lughese Mirko Valdifiori, uno degli «ultra-centenari» del massimo campionato italiano. La storia di Faenza, invece, si lega a stretto filo con un passato più lontano, quello di due amici, non parenti, che a distanza di pochi anni, hanno raccolte svariate presenze in A: Bruno e Giacomo Neri. Il primo, che dà il nome allo stadio della città, è il più famoso: un mediano e partigiano passato alla storia per essersi rifiutato di fare il saluto romano in campo. Il secondo, forse il faentino più importante di sempre a livello calcistico, vanta oltre 230 presenze in Serie A e ben 3 in Nazionale. Avanzando nella linea temporale del calcio, si arriva rapidamente ad Attilio Santarelli, storico portiere di quel Bologna di Fulvio Bernardini e del «così si gioca solo in Paradiso», e ai più recenti, entrambi legati al Bologna e all’Atalanta, Nicola Mingazzini e Davide Bombardini, che però hanno avuto un ruolo decisamente più sfumato, con il «Bomba» transitato anche in piazze di enorme fascino come Roma.
FUTURO
Si sa, il calcio vive di annate: abbiamo passato interi anni ad aspettare quella generazione che «promette tanto bene». Chissà che non sia anche questo il caso, alla ricerca di una belle époque in grado di fermare l’emorragia di talenti ravennati. Qualcuno c’è e da sotto prova ad emergere, ma forse è meglio che non se ne parli troppo per evitare di caricare di aspettative giovani aspiranti calciatori non ancora pronti ai grandi palcoscenici. Serve però fare una piccola eccezione: un ragazzo che, pur essendo ancora un Primavera (del Bologna), ha già esordito in A. Si chiama Antonio Raimondo, è di Ravenna e nella passata stagione, a soli 17 anni, ha trovato i suoi primissimi minuti per realizzare un sogno. Ma è solo l’inizio. Speriamo non solo per lui.
GLI EX
Il termine utilizzato sia da Andrea Mandorlini che da Claudio Rivalta è casualità. Il caso è il motivo dell’assenza di ravennati in A che, comunque, non sono mai stati in maggioranza. «Anche quando ero giovane io - spiega Mandorlini - i ravennati sono sempre stati pochi. Se si nasce in Romagna, serve anche fare un ulteriore passo verso settori giovanili importanti e non è scontato: io sono stato fortunato andando al Torino». Il problema per Rivalta è più metodologico e culturale: «Molti bambini sono già ritenuti calciatori a 14/15 anni e nei momenti di vera crescita si sentono già arrivati». «Disse un amico - ricorda Mandorlini - che in Romagna si vive molto bene, i ragazzi hanno tutte le comodità e sono abituati così: per questo non arrivano...». Sarà, ma nemmeno il mister è sembrato troppo convinto.