Sandro Bassi - Ennesima scoperta archeologica per la Vena del Gesso, tutelata come parco naturale fin dal 2005 dalla regione Emilia Romagna. Un’antica cava è stata scoperta nel versante nord di Monte Mauro, nei pressi di Ca’ Castellina, e ora sono pervenuti da una ditta specializzata di Miami (Florida) i risultati della datazione al Carbonio 14 per alcuni reperti organici che fanno da autentici fossili-guida.
«Abbiamo fatto prelievi su residui di carbone da un focolare all’interno della cava stessa – spiega Piero Lucci del Gam (Gruppo amici montagna, sezione speleologica) di Mezzano, che assieme a Massimo Ercolani e Baldo Sansavini ha scoperto il sito – e l’esito dice “2200 anni fa”, quindi ci troviamo di fronte ad un insediamento della prima età romana. La cosa sorprende per antichità ma è sicura, anche perché l’analisi al Carbonio 14 è stata condotta per due volte e con la massima cura. Ci sono anche resti di un edificio di costruzione successiva, probabilmente medievale a giudicare dai frammenti di ceramica rinvenuti. Molti altri reperti in terracotta e due cucchiai in metallo – prosegue - sono invece di età romana e sono stati portati al deposito archeologico di Palazzo Mazzolani a Faenza. Uno studio dettagliato a cura dell’archeologa Chiara Guarnieri uscirà prossimamente sul volume dedicato a Monte Mauro a cura della Federazione speleologica regionale».
La novità sta anche nella tipologia. Visti i precedenti - almeno cinque cave trovate a partire dall’anno 2000 con l’esplorazione della Grotta della Lucerna, rivelatasi poi appunto una miniera – in un primo momento si era fatta l’ipotesi che anche questo fosse un sito estrattivo di lapis specularis, il prezioso «surrogato del vetro» già citato da Plinio per i numerosi impieghi per lastre da finestre, da serre, portantine e alveari (i Romani volevano vedere bene le loro api); il lapis era noto riguardo a Spagna, Sicilia, Nord Africa e ad alcuni siti archeologici fra cui Pompei: per l’Emilia Romagna la cosa era caduta nell’oblio malgrado Plinio citi cave «presso Bologna» intendendo quasi certamente le nostre. Il lapis veniva tagliato sfruttando i piani di sfaldatura naturali; un ulteriore uso consisteva nello sminuzzarlo in frammenti per cospargere pavimenti in occasione di cene e feste.
«E invece no, la cava si è rivelata a blocchi - spiega Lucci - quindi finalizzata ad ottenere materiale per costruire edifici: il gesso non è ottimale per questo, perché friabile, tenero e anche solubile, sia pur in tempi assai lunghi, ma in mancanza d’altro si è usato eccome, in pratica fino al secolo scorso. Posso aggiungere che in base a calcoli oggi effettuabili con relativa facilità, stimiamo siano stati estratti circa 1800 metri cubi di materiale, una quantità davvero imponente e destinata a edifici della zona oggi scomparsi. O meglio: è possibile che qualche blocco sia stato riutilizzato per Ca’ Castellina, di cui restano oggi solo i ruderi, ma se è vero si tratta di un reimpiego molto successivo. L’impiego originario fu per edifici di cui al momento non sappiamo nulla, anche se possiamo ipotizzare, in effetti, case di servizio all’estrazione del lapis».