Sandro Bassi - Venerdì 28 giugno, ore 21. Siamo alla quarta puntata di una rassegna, «Recondite Armonie», che deve il suo successo alla bravura dei musici, coordinati dal direttore artistico Donato D’Antonio della Scuola comunale “Sarti” di Faenza, ma certamente anche alla rara, scenografica bellezza del contenitore, l’ex cava Marana sui gessi di Brisighella.
Diciamoci, sommessamente, la verità. Anche solo vent’anni fa nessuno avrebbe creduto possibile fare concerti in questo che appariva un luogo «orrido»: anche nel senso romantico del termine, d’accordo, ma soprattutto nel senso terrifico e scostante.
Abbandonato fin dal 1976, questo sito estrattivo composto da un piazzale-cava esterno e da una galleria-miniera interna, in 43 anni è stato riconquistato dalla natura. O perlomeno quest’ultima ha cicatrizzato quella ferita che l’escavazione, alla Marana come in tutte le cave, aveva storicamente prodotto. Le pareti del grande anfiteatro di ingresso, del tutto denudate, si sono rinverdite e l’enorme ambiente sotterraneo ha acquistato un singolare fascino selvatico, anche grazie al lago che si è creato spontaneamente con lo stillicidio d’acqua dal soffitto, fenomeno lento ma costante e che ha permesso l’accumulo di un bacino trasparentissimo, neanche poi tanto piccolo (profondità oltre 2 m ed estensione sull’intero fondo della cava, per oltre 50 m).
Chi ha un minimo di dimestichezza con la Vena del Gesso sa che questo sito è di origini completamente artificiali e che non può in alcun modo esser assimilato alle grotte (che sono cavità naturali), ma l’aspetto da «cavernone», l’aria fresca piacevolissima con queste calure estive, la penombra solcata dal volo di qualche pipistrello e persino la presenza di piccole stalattiti, depongono a favore di una suggestiva illusione.
Peraltro, la storia della Marana è a tutti gli effetti storia di Brisighella e del suo territorio. Aperta nel 1929 in seguito al decreto prefettizio che vietava l’escavazione di gesso a ridosso del paese, la cava fu gestita fino alla seconda metà degli anni ‘40 dalla famiglia Malpezzi in società con i Liverzani, poi dai soli Malpezzi. Essi nel 1954 intrapresero gli scavi in galleria (prima erano solo a cielo aperto), il che consentiva di lavorare anche nel pieno inverno e di non avere più operazioni di sterro delle argille. Si trattava dell’unico esempio di estrazione ipogea nei Gessi di Brisighella.
Alla fine degli anni ‘60 i Malpezzi vendettero l’attività alla «Gessi del Lago d’Iseo» che portò avanti i lavori fino appunto al 1976. Nel 2013, a distanza di oltre 35 anni dalla dismissione, l’ormai ex cava è stata acquistata dal Parco regionale Vena del Gesso, valorizzata con pannelli didattici, dotata di luci e inclusa in visite guidate e attività ricreative.