Sandro Bassi - Con l’aiuto della primavera si stanno già attenuando i segni dell’incendio scoppiato sabato 13 marzo sul colle di Rontana, gessi di Brisighella. Incendio modesto per estensione – circa mezzo ettaro – e per i danni: non è stato un fuoco «di chioma», visto che per fortuna è andata a fuoco solo la lettiera di foglie secche e una parte del sottobosco. Tuttavia non è il caso di minimizzare: come sottolinea una nota diramata dal Parco della Vena del Gesso, il colle di Rontana è coperto da un vecchio rimboschimento di conifere che comportano, in caso di incendi, rischi gravi: lo strato di aghi secchi al suolo, ma anche gli aghi verdi sulla pianta, le pigne e lo stesso legno, resinoso, risultano pericolosamente infiammabili. E non è un caso che nel quadrante Rontana-Carnè sia previsto un Life (progetto finanziato con fondi europei) per il ripristino dell’originario bosco misto di latifoglie, principalmente roverella e orniello che sono assai meno infiammabili rispetto alle conifere.
Ma torniamo al rogo: segnalato con tempestività da due residenti, è stato spento dai Vigili del Fuoco di Faenza e di Casola in tre ore di lavoro reso più difficoltoso dalle forti raffiche di vento che minacciavano di spingere le fiamme verso il Carnè. Tutto sembra esser partito dalla strada per Rontana poco a monte del «sentiero degli Alpini» che collega la pieve con la croce passando per l’area degli scavi archeologici: questi ultimi non sono stati raggiunti dall’incendio, mentre il sentiero ha riportato qualche danno poiché si sono carbonizzati i pali posti in opera due anni fa per «sostenere» i due tornanti più alti. Non è stata raggiunta dal fuoco neppure la particella in versante nord che ospita le conifere più vecchie - piantate nel 1929-30 - e che hanno dato i risultati migliori da un punto di vista degli accrescimenti: si tratta di tuie giganti nord-americane e cedri; per quanto esotiche e «infiammabili», queste conifere non verranno eliminate dal Life, mentre i circostanti pini neri, che soprattutto in versante sud sono molto deperiti, verranno, sia pur gradualmente e in maniera selettiva, abbattuti entro la fine del 2022.
Fortunatamente indenni, come detto, sono gli scavi archeologici che occupano tutta l’area sommitale e che in oltre dieci anni - iniziarono nel 2007 - hanno portato alla scoperta di quanto resta del castello. Dopo la forzata pausa del 2020 dovuta al Covid, gli scavi riprenderanno il 7 giugno. «Siamo molto soddisfatti - dice il responsabile Enrico Cirelli, dell’Università di Bologna -: per ragioni sanitarie saremo un po’ meno, una decina invece di 30, e adotteremo una serie di precauzioni, ma intanto partiamo. Faremo base al Carnè, ospitati dal Parco, e approfondiremo gli scavi dell’area centrale, quella vicina ai pozzi, dove sono venute alla luce sepolture molto antiche, dell’VIII-IX secolo, con frammenti di ceramiche nord-africane, bizantine, addirittura di fine VI-inizi VII secolo. Aggiungo che a luglio poi partiremo con gli scavi a Ceparano e con un saggio iniziale nella rocca di Tossignano, perché anche qui sono venuti alla luce frammenti di ceramiche che testimoniano di un’origine antichissima dell’insediamento, già nel VI secolo».