Sandro Bassi - E’ iniziata a luglio e andrà avanti fino a fine agosto la campagna di scavi al castello di Rontana del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna.
Con la guida di Enrico Cirelli e Debora Ferreri, sui 10 ettari della cima del colle su cui svetta la celebre croce, circa 20 archeologi si cimenteranno per un altro mese alla ricerca di tracce che documentino non solo la storia plurisecolare del castello che vide come fulcro la dominazione dei Manfredi (dal ‘300 al 1501), ma anche la cultura materiale e le caratteristiche di vita quotidiana delle circa 100 persone (da stime basate sulle abitazioni trovate) che vissero qui, inizialmente a servizio della guarnigione militare - stallieri, fabbri, maniscalchi, falegnami, ecc. - poi riciclatisi per attività agricole o silvo-pastorali e infine datisi a quello che oggi, impropriamente, chiameremmo «brigantaggio», in realtà una sorta di insubordinazione permanente, soprattutto fiscale, verso un potere divenuto lontano e centralizzato (quello pontificio di Roma subentrato nel 1509 a quello manfrediano spazzato via da Cesare Borgia nel 1501; nel mezzo ci fu la breve parentesi veneziana).
«Le maggiori novità degli ultimi scavi - spiegano Cirelli e Ferreri - consistono nel rinvenimento di due strutture murarie sul lato ovest, assai notevoli per spessore e ampiezza e associate ad un contesto databile dalla fine del VI secolo al VII; ciò anticipa la cronologia finora ipotizzata per l’insediamento, che si reputava iniziato nel IX sec. La nuova datazione è possibile per via di un piatto in Terra Sigillata Africana (una ceramica molto fine, ottenuta con argilla fatta decantare ripetutamente, ndr) e per via di frammenti di anfore orientali; il piatto è di produzione tunisina e trova confronti con analoghi ritrovamenti a Ravenna e in Tunisia sempre del VII secolo».
Il Monte di Rontana venne quindi occupato nel VI-VII sec. da un primo insediamento militare fortificato, ma a partire dal IX queste strutture furono smantellate e «tagliate» da sepolture legate alla pieve, che in questo periodo, anche da fonti bibliografiche, risulta infatti «incastellata» (successivamente verrà riedificata più volte, forse tre in tre diversi siti esterni, fino a quello attuale sul lato est del monte presso via Valloni).
All’interno del cimitero sono stati trovati, fin dagli anni scorsi, due grandi ossari e numerose tombe, in parte povere e in parte privilegiate (una è venuta alla luce anche in questa campagna), da cui sono stati prelevati campioni per le analisi del C14 e del Dna. L’altro settore su cui sono proseguite le ricerche è quello dell’area abitativa fuori mura, nel cosiddetto «borgo» in versante est, un’area costituita da casette semplici, ognuna dotata di una piccola cisterna e di un magazzino interrato o «silos» per la conservazione di derrate alimentari.
Infine, gli scavi di quest’anno si caratterizzano per l’esposizione al pubblico delle strutture che, restaurate, resteranno in loco a formare una sorta di parco archeologico visitabile. E’ il caso dell’atrio sommitale dove campeggia il sistema dei «pozzi alla veneziana» (in realtà due cisterne con acqua e due con sabbia di filtraggio, più un pozzo al centro) per la raccolta dell’acqua piovana e, da quest’anno, del bellissimo pavimento in mattonelle in cotto a spina di pesce: databile al 1450-1475, esso apparteneva ad un elegante ambiente di rappresentanza perché nei castelli, oltre a torri, cortili, sotterranei e prigioni, c’era anche questo.