Sandro Bassi - Nella magnifica, solenne cornice della chiesa di Santa Maria dell’Angelo, si è svolta giovedì scorso la conferenza dell’archeologo Enrico Cirelli sugli scavi al castello di Ceparano. Scavi che riprenderanno dopo il 25 luglio e che si preannunciano assai interessanti. Vediamo perché.
UNA TORRE «NURAGHE»
Luogo caro alla comunità faentina e modiglianese, il colle di Ceparano, oggi coperto da un bel bosco di querce ma in passato totalmente brullo (Cirelli ha mostrato gli eloquenti disegni di Romolo Liverani e di Tommaso Dal Pozzo), ospita da sempre - in realtà dal 1378 come documenta la lastra di Astorgio Manfredi esposta ancor oggi in Pinacoteca a Faenza - la strana torre sommitale, curiosamente simile ad un nuraghe e fatta di pietre di “spungone”, sassi di arenaria e mattoni medievali e anche romani di spoglio. «Questi ultimi sono databili dal III al V secolo - ha spiegato Cirelli - e provengono forse da una villa rustica in loco. L’insediamento di Ceparano è infatti molto antico: i primi documenti che lo citano sono del X secolo ma anche noi, come le varie fonti che menzionano ‘monete bizantine’ e addirittura un misterioso “umbone di scudo longobardo”, riteniamo sia iniziato ben prima».
GLI ABITANTI
Gli scavi, materialmente condotti da laureandi o neolaureati dell’Università di Bologna, sono al loro quarto anno: finora hanno messo in luce strutture civili e militari in prossimità della torre e anche sul colle ovest (quello verso il Marzeno), per un’estensione di quasi un ettaro e per una popolazione stimata in circa 150 individui (più un numero variabile di soldati). Stupefacente il grande ossario trovato ai piedi delle strutture più orientali e ricavato nel XIII secolo quando fu necessario trasferire qui le sepolture che si trovavano sul piccolo pianoro sommitale, divenuto necessario per la difesa della torre. Quest’ultima, oltre a presentare la strana pianta ogivale (quindi con un puntone inserito su un cerchio) simile a quella di Rontana, aveva diverse particolarità: accesso sopraelevato, al secondo piano, con scale in legno ovviamente retrattili, doppia cisterna (una esterna e l’altra interna ad alimentare un pozzo a sua volta accessibile da tutti i piani), scala a chiocciola paragonabile a quelle delle rocche di Brisighella, Oriolo, Bagnara e Montepoggiolo, le prime tre ancora magnificamente conservate. «Oggi si entra per quella che era una feritoia con postazione da archibugio – precisa Cirelli - allargata nell’800; qui abbiamo scavato riportando in luce buona parte della muratura sottostante».
CHIESA E CASTELLO
Altra questione da chiarire riguarda la chiesa del castello, dedicata a Santa Maria e da non confondere con la pieve di San Giorgio, più tarda e piuttosto distante: la chiesa venne dismessa nel ’200 e trasferita, ma non fuori dalle mura come si pensava; d’altronde una funzione religiosa e cimiteriale dell’abitato è sicuramente stata svolta all’interno del sito fino alla fine. Quest’ultima è databile al 1577 quando il governo pontificio ordinò la demolizione del castello per impedire il suo uso da parte di briganti, termine in realtà da attribuire alla normale popolazione divenuta disoccupata e affamata dopo lo smantellamento della guarnigione militare».