Bassa, si è spento Antonio Longanesi, «alfiere» del Bursôn, cosa rimane in calice

Romagna | 27 Marzo 2020 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - L’enologia italiana, da diversi decenni, sta puntando alla riscoperta e valorizzazione dei cosiddetti vitigni autoctoni. Un patrimonio ampelografico immenso, sia per qualità che per capacità di stupire i palati degli enonauti, che vede circa 335 essere i vitigni autoctoni riscoperti e successivamente vinificati in altrettanti vini. Un patrimonio frutto di scoperte, di intuizioni di eventi casuali che arricchiscono, quotidianamente, il gusto delle tavole italiane e non solo. Tra questi, in Romagna c’è anche il cosiddetto «Bursôn», ottenuto dalle uve Longanesi. In questi giorni, purtroppo, è venuto a mancare Antonio Longanesi, una delle figure più importanti per la rinascita di quello che, per molti, grazie alla tecnica di vinificazione utilizzata per rendere queste muscolose e tanniche uve più morbide al sorso, viene definito come l’Amarone di Romagna. Per i suoi meriti Antonio Longanesi ha ricevuto nel 2013 l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, conferitagli dal presidente Giorgio Napolitano.
    
NASCITA DI UN’INTUIZIONE
Antonio Longanesi, da tutti soprannominato Bursôn», nel 1913 acquistò una proprietà a Boncellino. Un investimento familiare che permise di riportare alla luce, in modo del tutto casuale, una «nuova» vite. La storia narra che in un «roccolo», un’area boscosa al limite dei fondi, frequentato dallo stesso Longanesi in quanto grande appassionato di caccia da capanno, venne notata una vite, abbarbicata attorno a una quercia, i cui acini venivano utilizzati come richiamo per gli uccelli. Notata la particolare rusticità della pianta e soprattutto la resistenza alle malattie fungine dei grappoli, la famiglia Longanesi tenta una prima vinificazione tutta domestica delle uve. Fu la scintilla che fece detonare il successo del vino. Quello che si ottenne, non senza stupore, era un vino possente, da addomesticare, ma sicuramente promettente. Passano diversi anni prima che una vera e propria vigna per questo vino si concretizzasse nelle terre super fertili della Bassa. Il tutto trova l’avvio nel 1956 quando venne deciso di piantare il primo vigneto di Uva Longanesi più per aumentare il grado alcolico degli altri vitigni presenti in azienda (Uva d’Ora e Canina) che per creare un vero e proprio nuovo prodotto. Va però riconosciuto ai nipoti di Antonio, di aver intuito il vero potenziale di questa uva. 

RICONOSCIMENTO E SUCCESSO
Ne passarono ancora di vendemmie prima che, nei comuni di Bagnacavallo, Lugo, Russi, Godo, Cotignola, Fusignano e più recentemente anche nel faentino, la viticultura prendesse seriamente in considerazione questa novità. Con il riconoscimento e la registrazione ufficiale delle Uve Longanesi avvenuta nel 2000 nel Registro nazionale delle varietà di vite di fatto il Bursôn è salito al rango di simbolo dell’enologia della Bassa Romagna. Ecco così la «rivincita rinascimentale» del vino Longanesi. Un prodotto che nasce nel cuore della fertilissima Pianura Padana, dove nè la brezza del pur vicino Adriatico, nè quella serale più pungente e asciutta del’Appennino, cullano gli acini di queste viti d’altri tempi. Un vino che si fa strada, a spallate, tra frutteti sterminati, campi di cereali e, prima ancora di barbabietole zuccherose. Una viticoltura che deve fare i conti con argille e sedimentazioni fluviali antiche che danno potenza e austerità ma soprattutto che deve ritagliarsi un posto in prima fila nei confronti di un approccio agronomico in cui l’industrializzazione del far di vino ha da decenni monopolizzato aziende e menti.

LE CARATTERISTICHE
Da grappoli unici, neri, fitti, lunghi e ricchi di acini viene ricavato il Bursôn. Un vino le cui caratteristiche organolettiche, seppur differenziate a seconda dei produttori, trovano un denominatore comune: la tannicità selvaggia ed esplosiva. Ma non solo. Anche il grado alcolico non manca di certo, facendo arrivare questo vino, nelle versioni Riserva, anche a sforare i 15 gradi. Si presenta di un rosso intenso, profondo e soprattutto impenetrabile, con sfumature, a seconda della maturazione, che possono variare dal rubino al granato intenso. Al naso sono i profumi di frutti rossi maturi e di sottobosco, di confettura a cui fanno eco sentori di spezie tostate, tabacco e vaniglia. Il Bursôn al sorso è potente, rotondo, possente e compatto a volte può apparire nervoso a causa dei tannini difficili d’addomesticare. Praticamente infinita la persistenza al palato.

LA PRODUZIONE
Oggi la produzione prevede due tipologie: il Bursôn etichetta blu, sempre meno realizzato, che utilizza uve fresche e di medio invecchiamento e il Bursôn etichetta nera (la Riserva) realizzato dopo un attento appassimento delle uve e affinamento in botti di rovere. E’ sicuramente questa che ha permesso di definire questo vino l’Amarone di Romagna portando la produzione dalle quasi 800 bottiglie prodotte nel 1997 alle circa 70 mila di oggi. La superficie vitata totale rivendicabile a Bursôn è di circa 40 ettari.

IL CONSORZIO BAGNACAVALLO
E’ nel 1999 che il Bursôn inizia a uscire dalla micro diffusione locale per provare a conquistare nuovi orrizzonti. In quell’anno, infatti, una quindicina di produttori fondano il consorzio «Il Bagnacavallo» allo scopo, appunto, di promuovere e valorizzare il vino Bursôn grazie all’adozione di un disciplinare specifico. Presidente del Consorzio, in questi ultimi anni, è il nipote di Antonio Longanesi, Daniele. Al fine di promuovere il gusto e le caratteristiche di questo vino scoperto mezzo secolo fa dal Longanesi, il Consorzio realizza il concorso enologico «A che punto siamo?». Altra sfida recentissima lanciata dal Consorzio è quella della valorizzazione di un altro vino autoctono, questa volta di tipo bianco, la «Rambela». Vino ottenuto dalle rustiche uve semi aromatiche di Famoso, vinificato in diverse tipologie, tra cui anche fragranti spumanti.
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