Bassa Romagna, orizzonte 2022, Bensadiq Abdellah (Comunità islamiche E-R): «L’amore e la famiglia contro il materialismo»
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Samuele Staffa
Non è una questione di religione o cittadinanza. La pandemia ha messo in crisi tutti: sia chi ha salde radici sul territorio, sia chi le ha gettate da qualche anno. E la soluzione, per Bensadiq Abdellah, romagnolo di origine marocchina, presidente delle Comunità islamiche dell’Emilia Romagna e referente del centro di Fusignano, la soluzione è la stessa per tutti: «La felicità passa dall’amore verso gli altri e dalla famiglia. Occorre mettere l’uomo al centro e non cedere all’indifferenza e al materialismo» dice Bensadiq.
Il distanziamento sociale e tutte le restrizioni hanno creato difficoltà per quanto riguarda i momenti di preghiera e le celebrazioni delle principali feste religiose?
«Soprattutto all’inizio della pandemia, nei primi mesi del 2020, abbiamo incontrato molti disagi. Le sale di preghiera erano chiuse ed oltre ai momenti di preghiera comune, sono venute a mancare occasioni di incontro, socialità e svago. Ma questo vale per tutti, non solo per chi professa la religione musulmana. In particolare, tuttavia, chi è immigrato ed ha meno legami nel territorio ha dovuto far fronte a qualche difficoltà in più. Poi, per fortuna, nei mesi successivi i luoghi di culto sono stati riaperti. Restavano diverse limitazioni e obblighi da rispettare, dalle mascherine alle distanze. Niente abbracci, strette di mano o chiacchierate. Molte cose sono cambiate, ma almeno siamo ripartiti. E, per fortuna, nonostante le restrizioni introdotte negli ultimi giorni, i centri culturali islamici possono restare aperti».
Non tutti i cimiteri italiani hanno aree riservate all’inumazione a terra delle salme in base al rito musulmano che, solitamente, vengono spesso rimpatriate. La pandemia ha reso tutto più difficile?
«Si, non è stato semplice. Ero il rappresentante del Pjd in Italia (il Partito della Giustizia e dello Sviluppo che governava il Marocco prima delle ultime elezione) e grazie a questo incarico avevo frequenti contatti col primo ministro e le istituzioni del mio paese d’origine ed ho cercato soluzioni per il rimpatrio delle salme. Tuttavia, non era possibile creare questo collegamento aereo. Però è stata trovata una soluzione grazie alla collaborazione con lo Stato italiano: sono stati dedicati alcuni spazi nei cimiteri italiani, in particolare Bergamo e Bologna, per la sepoltura dei molti musulmani scomparsi. Poi, dopo alcuni mesi sono stati riaperti i confini e in molti casi le salme sono state esumate e rimpatriate. Altri, invece, sono state portate in altre località italiane. Momenti di difficoltà, per fortuna superati. La tradizione vuole che i cari estinti tornino nel paese d’origine. Ma per l’Islam non vi sono regole particolari: la terra, che sia Africa, Europa o America, è sempre terra. A seguito dell’emergenza Covid, la questione è all’ordine del giorno della Bassa Romagna. Ricordo che il confronto era partito già col sindaco Raffaele Cortesi e oggi a Lugo è presente un’area dedicata dove sono sepolti due musulmani. Un importante passo in avanti».
Più in generale, l’emergenza sanitaria ha rallentato il processo di integrazione?
«Sono venute meno alcune occasioni di scambio tra musulmani e non. Ma il fenomeno, a prescindere dalla religione o dalla provenienza, ha colpito tutte le comunità. La pandemia non ha rallentato solo l’integrazione, ma ogni attività sociale».
Negli ultimi anni diversi cittadini stranieri, complice la crisi economica che tocca anche il nostro territorio, hanno proseguito il percorso di migrazione verso altri Paesi. La Romagna non offre le stesse opportunità di un tempo?
«Vero. Da una decina di anni, dopo la crisi del 2008, molte famiglie che avevano fatto progetti sul nostro territorio sono andate altrove. Molti marocchini di mia conoscenza sono andati in Francia, Belgio e altre località europee. Il motivo era sempre lo stesso la ricerca di un lavoro e di una stabilità economica. Alcuni di loro, tuttavia, non si sono trovati bene e hanno preferito ritornare in Romagna nonostante avessero opportunità di lavoro all’estero. Non è semplice migrare per due volte».