Basket donne, Morsiani ha detto basta: «L’E-Work, la magia del Bubani, Faenza: ciao basket, perdo una grande famiglia»

Romagna | 01 Maggio 2022 Sport
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Luca Alberto Montanari
Chiudere da vincente. Far calare il sipario nel momento più alto della propria carriera. Ma soprattutto lasciare Faenza in buone mani e in A1. Lucia Morsiani ha salutato l’E-Work e il basket. Lo ha fatto dopo aver vinto un campionato (undici mesi fa) e dopo aver contribuito a salvare una squadra che l’anno prossimo ricomincerà dall’olimpo del basket femminile. Ma senza una delle sue guide, dentro e fuori dal campo.
Morsiani, cominciamo dalla stagione appena conclusa. Che anno è stato?
«L’obiettivo era mantenere la categoria, non conoscendo il campionato e soprattutto il livello tecnico e atletico di molte squadre. Non era un traguardo semplice da raggiungere perché era un salto nel buio, noi eravamo un gruppo nuovo e in partenza abbiamo avuto tanti problemi. Il cambio di allenatore ci ha dato una spinta emotiva importante e tanta forza. Il finale è stato in crescendo e anche con qualche rimpianto, perché con un’andata leggermente migliore avremmo anche evitato i playout. Alla fine ci siamo salvate agevolmente e meritatamente contro Broni, senza neppur giocare gara3. Per la società è stata una stagione positiva».
Avete giocato due campionati in uno. Prima i mesi difficili, con tanti infortuni e l’esonero di Sguaizer, poi il girone di ritorno della rinasciat, soprattutto dopo il Covid.
«Sì, i primi mesi sono stati durissimi. Anche io sono rimasta fuori due mesi per problemi alla schiena. Al debutto abbiamo perso Franceschelli per tutta la stagione, un punto fermo e di riferimento della squadra. Poi ci sono stati tanti infortuni minori che non ci hanno permesso mai di essere al completo. Nel ritorno questo problema lo abbiamo risolto e nelle rotazioni si è visto: Simona ha sempre avuto 10-11 giocatrici sempre e soprattutto nelle fasi finali ha fatto la differenza, a cominciare dai playout contro Broni».
Da faentina e da veterana del Basket Project, cosa significa vincere e salvarsi a Faenza? E’ il traguardo più bello della sua carriera?
«Difficile quantificare una vittoria, perché ogni anno fa storia a sé. L’anno scorso l’obiettivo era la promozione e siamo state promesse, quest’anno era la salvezza e ci siamo salvate. L’importante è mettere nel mirino un traguardo e raggiungerlo e noi lo abbiamo sempre fatto. Diciamo che, dopo la tantissima fatica fatta in questi anni, è giusto che Faenza rimanga in questa categoria il più a lungo possibile. Quest’anno non conoscevamo bene il campionato, le squadre e anche il livello fisico. Ma dall’anno prossimo si può fare un progetto più mirato e magari si può provare anche ad obiettivi più alti».
E poi c’è il calore del Bubani, il vostro più grande alleato.
«Per me ha un sapore particolare. Le straniere hanno sentito fin da subito il senso di appartenenza, il legame con la città. Giocare a Faenza non è solo un lavoro: chiunque entri al Bubani sente l’affetto e la passione. E il legame tra la gente e chi scende in campo fa la differenza. Tra di noi abbiamo impiegato un po’ per conoscerci e formare un gruppo, ma con il tempo si è creata l’alchimia giusta. Pallas è stata la punta di diamante di questa stagione, ma anche l’incastro tra straniere e italiane o tra veterane e nuove ha funzionato».
Lei ha chiuso la carriera dopo la vittoria contro Broni. Cosa significa lasciare il basket e tornare a fare l’infermiera a tempo pieno?
«Fino a quando ho potuto, ho fatto entrambe le cose. In A1 non era possibile, mi è stato concesso un anno di aspettativa al lavoro, che ho sfruttato per giocare, ma ora devo dire basta. Arrivo abbastanza preparata a questa fine di carriera, anche se poi non si è mai pronti dopo 20 anni di basket. Io non mi sento ancora pronta, ma torno a lavorare volentieri. So che tutte ci passano, prima o poi, quindi accetto. Farlo a Faenza e da faentina ovviamente è più difficile. Mi mancherà tutto, dall’affetto del pubblico alle trasferte, alla quotidianità. Ma soprattutto mi mancherà il senso di appartenenza che si costruisce a Faenza e che durante ogni stagione diventa il marchio di Faenza».
Qual è stato il momento più bello della sua carriera con la maglia di Faenza cucita addosso?
«Banalmente potrei dire la promozione dell’anno scorso, perché è stato il coronamento di tanti anni di lavoro e di sacrifici. Ma sinceramente faccio fatica a scegliere un momento o una fotografia. Diciamo che la grande soddisfazione è chiudere la carriera da giocatrice lasciando Faenza in A1. Se fossimo retrocesse, magari non avrei neppure smesso, perché non sarei riuscita ad accettarlo».
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