Basket donne, la capitana Ballardini e la promozione dell'E-Work: «Resto, ma devo decidere in quale ruolo»

Romagna | 18 Giugno 2021 Sport
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Tomaso Palli
Simona Ballardini, avete completato l’opera riportando il basket femminile faentino in A1: è già riuscita a realizzare?
«Era il nostro obiettivo e ci siamo riuscite, ma ancora non mi rendo conto. Ora il basket femminile a Faenza è tornato dove merita per la storia che ha. È una soddisfazione enorme per tutti, il giusto epilogo di cinque anni fantastici dove siamo cresciuti come società e squadra».
Qual è stato l’ingrediente segreto per il risultato?
«Il lavoro giornaliero. Ogni giorno siamo migliorate, abbiamo imparato e ci siamo rafforzate. Non senza passaggi impegnativi: il cambio dell’allenatore che ha stravolto la nostra pallacanestro, ma poi è stato costretto a casa un mese e mezzo per Covid, i tamponi, la Coppa Italia giocata in sei… tutti momenti che ci hanno fatto crescere». 
Quando avete capito di potercela fare?
«Per scaramanzia nessuno lo diceva né forse voleva capirlo, ma quando Diego (Sguaizer, ndr) è tornato dopo il Covid. Da lì abbiamo iniziato a macinare sempre più il suo gioco dopo le difficoltà iniziali e ognuna di noi sapeva di essere pronta a vincere. Ma esserne consapevoli è diverso dal riuscirci. E c’era anche il peso delle aspettative». 
Non è quindi mancata la paura?
«Dopo Valdarno. Avevamo dimostrato la nostra forza giocando meglio entrambe le partite ma il risultato era 1-1 nonostante il parziale vantaggio di +20 anche in gara 2. Non era facile ripartire, rimanere tranquille e affrontare la situazione come una normale partita persa, un inciampo. Anche quei momenti hanno fatto parte della crescita».
Quanto è stato importante il pubblico in finale?
«Tutta Italia sa che il pubblico faentino è il nostro sesto uomo. Fortunatamente era presente seppur senza coinvolgere l’intera città dopo un anno così difficile. Ma domenica è stato meraviglioso: condividere la vittoria è bellissimo perché è di tutti, di chi partecipa da dentro e da fuori, uniti da una sofferenza condivisa. E a Faenza noi giocatrici siamo sempre state un tutt’uno con il pubblico».
Lei c’era anche nel 2007, negli anni d’oro del basket femminile a Faenza, e c’è oggi: ritrova aspetti comuni?
«Parto dalle differenze. Nel 2007, la finale non l’ho giocata perché avevo un ginocchio rotto e questa è la differenza abissale (ride, ndr). Avevo un’altra età, ero più presente cestisticamente ma ora, più vecchia e meno sana, ho potuto giocare le finali. È cambiato il mio ruolo e la soddisfazione più grande, quest’anno, è stata di vedere la squadra trascinata, con carattere e personalità, da chi giocava o chi entrava senza che io facessi qualche cosa per prima come negli ultimi anni. Un punto di incontro tra oggi e il 2007 è l’unità del gruppo e l’arrivo di Sguaizer, nonostante la sua ansia incredibile per certe cose, ci ha alleggerito molto. Siamo state una cosa unica». 
Come è cambiata Simona Ballardini da quel 2007?
«Ho sempre fatto fatica a rapportarmi perché ho un carattere brusco e perciò, anche quando avevo ragione, passavo spesso dalla parte del torto. Questo non è andato via, ma oggi riesco a controllarmi meglio, sono molto maturata. Inoltre, ho più fiducia in me come persona mentre prima prevaleva quella come giocatrice. E un’altra cosa: ora sono meno rigida nella pallacanestro. Le ragazze mi hanno fatto capire che si può anche ridere e devo ringraziarle perché probabilmente, a 40 anni, mi sto godendo di più il momento». 
Dove inserisce questa promozione nei suoi ricordi?
«Quello che succede a Faenza ha un gusto e sapore diverso. Ho vinto lo scudetto a Taranto, lo bramavo più di ogni altra cosa, ma ho sempre pensato che il 2007, nonostante la finale persa, sia stato un anno magico. In carriera sono stata sfortunata per certi motivi ma anche tanto fortunata nel poter vivere emozioni e vittorie a casa mia, davanti alla mia gente, alla mia famiglia, ai miei amici e a tutte le persone che conosco. Non penso che capiti a tanti di fare ciò che ho fatto io perché sono sempre stata una giocatrice nella mia città. È un motivo di orgoglio incredibile».
E ora cosa farà?
«Resto nel Basket Project (pausa, ndr), ma non so ancora se giocherò. Oggi voglio continuare, domani no e il giorno dopo sì. Se solo riuscissi a dividermi in due corpi…».
Ci ha pensato tanto nell’ultimo anno?
«Soprattutto negli ultimi due mesi. E mi vergognavo a dire una cosa ma ora non più: nell’ultima settimana, domenica compresa, piangevo e singhiozzavo ogni secondo. Da dopo pranzo più nulla, nemmeno alla vittoria o durante i festeggiamenti. Devo capire il significato di quei pianti istintivi e poi deciderò».
Con un altro risultato avrebbe già deciso? 
«Ho sempre dato per scontato la vittoria, credevo nella squadra ma sicuramente, con la sconfitta, avrei mollato. Finiva un ciclo che però si è chiuso anche così. Accade sempre quando cambi campionato e, a maggior ragione, per noi che siamo insieme da cinque anni. Vedremo».
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