Basket B, l'allenatore dei muscoli Marabini: "Vi spiego come lavora la Rekico"

Romagna | 31 Gennaio 2020 Sport
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Valerio Roila
«Caro basket, ho corso su e giù per i parquet dietro ad ogni palla persa per te. Hai chiesto il mio impegno, ti ho dato il mio cuore, perché c’era tanto altro dietro». Già, Kobe Bryant sapeva che non si tratta solo di spedire una palla dentro un canestro. Che l’amore per il gioco, la dedizione che diventa quasi un’ossessione, la passione che ti regala il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera, sono molto più che palleggiare, passare e tirare. E c’è anche tanto altro dietro al lavoro tecnico di una stagione cestistica. Come il lavoro atletico, aspetto di cui si parla poco, rispetto all’importanza che riveste. Coordinatore della preparazione e dell’attività atletica della Rekico è, da quattro stagioni, Francesco Marabini. Faentino doc, classe 1967, diplomato Isef, titolare in città della palestra Jlab, formatore consulente Technogym e cofondatore di «Jlab Progetti di Movimento», società di consulenza tecnica. Il ribollire tumultuoso delle emozioni provocato dalla passione per la sua professione gli fa sgorgare spontanei ed esaurienti concetti, che spesso prevengono le domande. «Il nostro, se vuoi, è un ruolo infelice - attacca, prendendoci in contropiede - con soddisfazioni soggettive, che non sempre colmano la quantità di lavoro richiesta. Innanzi tutto, dovremmo definire il nostro ruolo, che non è quello di far diventare grossi i giocatori, ma gestire la loro fisicità a 360 gradi, trovando bilanciamento tra tutte le componenti: corsa, flessibilità, longevità, non solo resistenza e forza, che sono quelle che saltano più all’occhio del pubblico. Obiettivo è garantire la miglior performance riducendo i rischi di infortuni spontanei come le lesioni muscolari e abbassando i tempi di recupero di quelli traumatici. Prendendo in considerazione non solo la parte atletica, ma lo stile di vita dell’atleta, che deve contemplare il riposo e recupero o l’aspetto alimentare».
Come si svolge operativamente il suo lavoro, a partire da quello estivo, per poi passare alla routine stagionale?
«Partendo dalla fine del campionato, in cui il giocatore dovrebbe prima riposare e poi procedere in modo autonomo per la ripresa, noi intraprendiamo, dalla terza settimana di agosto, un lavoro di sei settimane, delle quali le prime due solo per la parte fisica, variando tipologia (all’aperto, in palestra o in piscina, ndr) e cercando di creare omogeneità nel gruppo, impresa talvolta utopica. In questa fase si crea volume, ovvero forza, fiato, flessibilità. Poi si cerca di impostare il lavoro sulle richieste del coach: ad esempio una squadra giovane come la nostra, che deve correre, permette carichi diversi da una più stagionata. Durante la stagione abbiamo poi cinque appuntamenti settimanali, in cui facciamo richiami, mantenimento della forza e cura delle esigenze basate su problemi fisici o eventuali carenze, anche in funzione del calendario».
In una settimana come questa, con il trittico di partite che si chiuderà domenica ad Ancona (la Rekico è scesa in campo anche mercoledì sera a giornale già chiuso), come si modifica l’iter?
«Si cerca di svolgere un lavoro più qualitativo e di richiami di forza, che quantitativo. Soprattutto il lavoro del martedì cambia radicalmente».
Lei è responsabile anche del lavoro fisico delle giovanili del Basket ‘95 e Raggisolaris Academy. Un mondo molto diverso da quello della prima squadra.
«Lì si pensa più alle fasi di gioco e si lavora sugli schemi motori di base, come correre, saltare, lanciare e passare. Va impostato un percorso di qualità di base che parta dagli Under 13, per evitare lacune a livello senior».
E alla fine arriva la partita. Lei che è, per modo di dire, dietro le quinte, come le vive? 
«Sono focoso di natura, ma cerco di guardarle con occhio professionale, concentrandomi su problemi come stanchezza, minore reattività e tenuta fisica».
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