Basket B, dal campo al ruolo di team manager, le nuove abitudini di Pierich: «Vi racconto il mio nuovo lavoro»

Romagna | 18 Settembre 2021 Sport
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Valerio Roila
Non è stata una scelta annunciata da tempo, quella di Simone Pierich. Piuttosto, germogliata dalle possibilità createsi, poi sedimentata e sbocciata lentamente, durante l’estate. Alla fine dello scorso campionato, il lungo goriziano di nascita, ma ormai romagnolo d’adozione, aveva espresso il desiderio di continuare ancora a calcare il parquet, almeno per una stagione. Poi è arrivata la proposta da ponderare, da parte dei Raggisolaris, per un ruolo da team manager. E allora sì, ha deciso che il suo percorso da giocatore, dopo oltre 500 partite e 5.000 punti segnati tra Serie A, A2 e B, più quattro presenze in Nazionale, ed una dozzina di maglie diverse indossate, poteva chiudersi a Faenza, in un ruolo diverso.
Pierich, com’è arrivato a questa decisione?
«In modo progressivo. È vero che avrei voluto continuare a giocare, e mi sarebbe piaciuto farlo in questa società. Quando mi hanno prospettato quest’alternativa, l’ho valutata seriamente. Perché mi hanno dato un ruolo importante, in cui posso proporre le mie idee ed essere ascoltato. Cercavano una persona con le mie caratteristiche, e mi sono sentito voluto; così, ho maturato dentro di me questa scelta».
Quant’è dura la decisione di smettere di giocare?
«Tostissima, perché ho vissuto la mia vita su un campo da basket, ma sapevo che non avrei potuto farlo all’infinito. E d’altra parte, in fondo, mi sono tolto un peso, perché pensavo continuamente a cosa sarebbe successo una volta che avrei smesso. Ora sono sereno, ho la fortuna di restare in questo mondo, a contatto con una squadra, ed il parquet non mi manca, ma magari appena sarò ben organizzato con questa mansione, potrò giocare in una squadra amatoriale, senza troppi impegni».
Dica la verità, ogni tanto qualche tiro in allenamento coi giocatori ci scappa.
«Certo, perché il canestro invoglia, ma mi impongo di trattenermi, perché non posso trasformare un allenamento in bagarre».
Quanto è cambiata la sua giornata-tipo?
«Molto, perché non ho momenti liberi. Sono sempre sul pezzo, spesso al telefono o a valutare diverse situazioni, cercando di imparare anche da altre società. Mi piace il mio ruolo attuale, prima pensavo solo ad allenarmi ed alla fine staccavo e ci pensavo il giorno dopo, ora invece la testa è sempre in funzione. Inoltre, il camp estivo che conduco al Campus mi aiuta nell’interscambio di idee».
Si sta abituando alla sua nuova veste, o magari la mattina si sveglia e sente la mancanza dell’atmosfera di una partita vissuta da protagonista principale? 
«È normale che io avverta la nostalgia di quei momenti, la responsabilità di quando si scende in campo, sia verso i compagni ed i tifosi, sia di mostrare agli avversari quello di cui sei capace. Ma al risveglio è anche bello riscontrare di non dover fare dello sforzo fisico. Quello non mi manca».
Quanto è cambiato il suo rapporto con i giocatori?
«Abbastanza, perché devo mantenere una linea differente, non posso fare più il burlone come prima. Il sorriso e l’entusiasmo però ce li avrò sempre».
Pensa di continuare ad assumere incarichi simili a quello attuale in futuro, o il suo è un passaggio propedeutico per poi magari provare ad allenare una squadra o ad avere un ruolo che le permetta ad esempio di avere voce in capitolo sul mercato?
«Di certo voglio crescere, voglio imparare a fare tante altre cose, comunicare, parlare con procuratori ed allenatori, incidere sul mercato. In generale, avere più responsabilità. E non escludo di provare a fare il coach...».
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