Basket B, Anumba e le partenze intelligenti della Rekico Faenza: "Tutto dipende dall’approccio"

Romagna | 15 Febbraio 2020 Sport
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Valerio Roila
Per ammansire le tigri ci voleva una pantera. Le tigri, in questa storia, son quelle di Cesena, ovvero i Tigers. La pantera invece, scaltra e insidiosa, nell’incunearsi tra fiere rivali, comparendo all’improvviso per sferrare il graffio letale, è Simon Anumba. Intendiamoci, la vittoria della Rekico Faenza nel derby del Cattani sulla Amadori, dopo due anni di cadute più o meno dolorose, è frutto del gruppo, e chi scrive ha un’ostinata idiosincrasia ad esaltare prodezze individuali in uno sport di squadra. Ma tra le chiavi del match, accanto alla regia illuminante di capitan Bruni (8 assist, 2 sole perse, con la difesa ospite messa a dura prova per seguirlo nelle sue scorribande da guascone), ai 17 punti di uno Sgobba inesauribile, con la bellezza di 39 minuti in campo, per sopperire alla situazione falli di Klyuchnyk e Tiberti, ed ai lampi meno appariscenti ma vitali di Petrucci, Oboe e Rubbini, risalta la fisicità dell’ala reggiana di famiglia camerunense. Che non a caso è risultato il migliore per valutazione e per offensive rate, ossia il rapporto di punti per possessi palla. E che ha dato l’imprinting alla gara all’avvio, con un rimbalzo offensivo tramutato in canestro, quasi un leitmotiv del derby. Gli abbiamo chiesto come sia nato questo successo che ha stravolto i pronostici, a sette giorni dalla brutta prestazione di Ancona. E lui ha risposto così: «Dalla voglia di riscatto che abbiamo coltivato dopo quella sconfitta - spiega Anumba -. Sapevamo quanto i tifosi ci tenessero, siamo felici di averli accontentati»
La sua forza d’urto a rimbalzo offensivo è stata essenziale per garantire seconde opportunità ed ha anche infilato una tripla in un momento decisivo, spezzando la rimonta dell’Amadori. Si sente più a suo agio ad agire da esterno o vicino a canestro?
«Il mio fisico è tagliato per il gioco interno, ma mi piace anche giocare da piccolo e sto cercando di migliorare il tiro da fuori per essere pericoloso anche da lì. Sono a disposizione del coach, che mi schiera dove ritiene sia più adatto al bisogno»
Siete una squadra capace di grandi prestazioni come di sconcertanti cadute. Quali sono le motivazioni di questa incostanza?
«Credo che il modo in cui approcciamo le partite condizioni il rendimento. Se riusciamo ad essere aggressivi all’avvio, a metterci in ritmo con canestri guadagnati in area e con buone difese, recuperi o rimbalzi, prendiamo fiducia e facciamo capire le nostre intenzioni agli avversari, altrimenti il discorso si ribalta e non riusciamo sempre a mutare l’inerzia».
L’obiettivo playoff resta a vista ed ora avete tre partite fondamentali prima della sosta per la Coppa: quelle esterne con Jesi e Ozzano, intramezzate con quella interna con Civitanova. All’andata, di queste, batteste solo la prima.
«Già. Con Jesi giocammo una grande partita, ma dobbiamo dimenticarla, non possiamo correre il rischio di pensare che sarà facile ripeterla. Dobbiamo scendere sul parquet con la massima intensità dal primo minuto»
Lei ha appena 23 anni, ma ha già vissuto diverse esperienze: le giovanili a Reggio Emilia, tre anni in Inghilterra, quindi Battipaglia, la serie A in quel di Torino con un coach vincente in Nba come Larry Brown e l’esperienza in Eurocup, prima di Faenza. Quali differenze sta trovando tra questa stagione e le precedenti?
«Dal punto di vista sportivo, quando ero a Battipaglia ho giocato in un girone in cui c’era molto divario tra squadre più forti e quelle di bassa classifica, mentre in questo tutte se la giocano. Per quanto riguarda l’aspetto ambientale, in A o a Manchester c’era meno senso di squadra, si formavano piccoli gruppetti, in cui io cercavo di fare da tramite. Qui invece siamo spesso assieme e si fa più squadra anche fuori dal campo da basket. Non capita in tutte le società» 
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