Basket A2, l'analisi del veterano Chiumenti: "Martino, Cancellieri e gli americani: vi racconto l’evoluzione delle mie OraSì"

Romagna | 06 Dicembre 2019 Sport
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Stefano Pece
Alberto Chiumenti è uno degli elementi più rappresentativi dell’OraSì: un giocatore che ci mette sempre la faccia e che sa sempre motivare il pubblico e catturare la simpatia dei tifosi. D’altronde il numero 7 ha esperienza dell’ambiente giallorosso poiché, a parte la parentesi centese di un anno fa, sono già tre le stagioni in maglia OraSì. A Ravenna Chiumo ha deciso di proseguire la propria vita dopo il basket, qui ha preso casa e con questi colori ne ha vissute tante, pertanto chi meglio di lui può raccontare l’evoluzione di questa squadra?
La sua prima OraSì, quella della stagione 2016-17, è stata la più vincente. Sotto la guida di Antimo Martino, Chiumenti e compagni giunsero fino alla semifinale playoff contro la Virtus Bologna, che poi fu promossa in A1: «Quella squadra mi aveva dato subito buone sensazioni - spiega Chiumo - parlo di quelle sensazioni che vanno oltre la tecnica, quelle che vivi soltanto quando sei in campo coi tuoi compagni. Tutto ci riusciva in maniera molto naturale mentre ci sono gruppi nei quali, per quanto lavori, questo non accade mai nel corso di una stagione». Chiumenti prosegue: «Ci sono quei giocatori che si limitano a fare il proprio dovere e nulla più. Non gli si può obiettare niente, ma così il salto di qualità non arriva mai. In quella squadra invece ognuno cercava di fare il proprio dovere al meglio e provava anche a dare quel qualcosa in più. Ed è quel qualcosa in più che fa tutta la differenza. E fai questo soltanto se hai un fuoco dentro che va oltre il gioco e la tecnica». A conferma delle sue parole il numero 7 porta un esempio concreto: «Giocammo almeno 7 partite senza Marks durante i playoff. Marks era il nostro americano e in teoria il giocatore più forte, ma della sua assenza non si è accorto nessuno perché c’era una squadra che sul campo sapeva fare gruppo e che sapeva essere solida nei momenti di difficoltà».
L’OraSì del 2017-18 invece ebbe una stagione controversa. Vinse partite incredibili, vedi il 3-0 negli scontri diretti con la Fortitudo Bologna, ma ne perse altre cosiddette «facili» fallendo l’obiettivo playoff. Tuttavia raggiunse, perdendola, la finale di Coppa Italia: «Il secondo anno il gruppo era meno coeso - ammette Chiumenti -. Mancava un po’ di empatia tra di noi. Non c’era nessun problema a livello di spogliatoio, ma non si è creata la stessa chimica dell’anno precedente. Non è colpa di nessuno, può succedere o non succedere». Quella fu la stagione del colpaccio Jerai Grant che però non si dimostrò quel giocatore dominante che ci si attendeva: «Ci vuole anche un po’ di fortuna a mettere insieme testa e giocatori che stanno bene insieme - conferma Chiumenti - però se una società lo tiene come primo obiettivo nella costruzione della squadra, ha meno possibilità di sbagliare».
E poi c’era lo scomodo paragone con l’anno precedente: «È stato un anno difficile anche per l’enorme aspettativa che c’era intorno a noi - spiega Chiumenti -. Anche se Ravenna non ha mai visto grande basket, ci aveva preso gusto al successo. E quando c’è troppa aspettativa, tutto quello che fai di meno, fa sembrare la stagione deludente. Abbiamo comunque raggiunto la finale di Coppa Italia, per cui non la considero una stagione negativa».
Poi si arriva all’OraSì di oggi, prima in classifica dopo 11 giornate con un record di 8 vinte e 3 perse: «Anche quest’anno ho avuto ottime sensazioni - sottolinea sicuro il giocatore -. Ma le avevo ancora prima di arrivare in città perché conoscevo due giocatori come Marino e Venuto con i quali ho già giocato e che considero cari amici. Conosco quello che hanno dentro questi giocatori: non parlo di talento, ma di voglia di vincere le partite, di aiutarsi, di mettere da parte la propria prestazione personale per il bene della squadra. Abbiamo tutti l’esperienza necessaria per fare magari una partita mediocre, ma fare la giocata che ti fa vincere la partita. Parlo di questo».
L’aspetto che sta più a cuore a Chiumenti sembra essere sempre il gruppo: «I compagni di quest’anno sono tutti ragazzi fantastici, compresi i due americani, e stiamo bene sia dentro che fuori dal campo. Il primo anno eravamo un grande gruppo dentro al campo, ma fuori ognuno faceva la propria vita. Quest’anno invece facciamo molte cose insieme e tutti partecipano volentieri. Così ci si conosce meglio e si crea la chimica».
Analogie fra Antimo Martino e Massimo Cancellieri? Chiumenti la vede così: «Entrambi hanno grande voglia di arrivare e di dimostrare di avere appreso la lezione dei loro maestri. Antimo è stato assistente di grandissimi allenatori e Massimo, dopo un inizio da capo allenatore, ha lavorato come assistente in un top team che ha fatto l’Eurolega per sei anni consecutivi». Chiumenti si spinge anche oltre e aggiunge: «È una fortuna avere un tecnico di questo livello. Ma è una grande fortuna avere anche un assistente del calibro di Bulleri. In primo luogo perché Bullo ha la grandissima umiltà di voler diventare un allenatore e non pensare di esserlo già, e in secondo luogo perché è una vera e propria enciclopedia di basket per tutti noi. Durante gli allenamenti ci offre degli spunti che sono fondamentali e ci trasmette la visione di gioco che aveva da giocatore: questa cosa non la compri». Chiumenti non vuole sbilanciarsi sugli obiettivi, ma chiude con un pensiero: «Abbiamo compreso che in questo campionato riuscirà a vincere chi sarà più solido. Andare a sprazzi è molto pericoloso perché non hai una partita per riprenderti. Io penso che se riusciamo a svuotare la testa dopo ogni partita, questa squadra può crescere enormemente».
 
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