Basket A2 donne, intervista a Simona Ballardini: "Non posso lasciare le cose a metà: giocherò anche l’anno prossimo"

Romagna | 12 Aprile 2020 Sport
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Luca Del Favero
Il sipario è calato ufficialmente sulla stagione dell’E-Work. La Fip ha annullato il campionato 2019/20 di A2 e ora restano soltanto tanti dubbi sul futuro. Parlare adesso della prossima annata sportiva è infatti prematuro, perché bisogna prepararsi ad una difficile estate per il nostro sport che dovrà cercare di ripartire provando a trovare il rimedio ad una crisi economica che riguarderà l’Italia in ogni settore. A fare il punto della situazione è Simona Ballardini, speranzosa che da questa tragedia possa nascere una nuova cultura nelle persone: «Fa male aver lasciato a metà una simile stagione - spiega - ma non c’era altra soluzione. Come si può pensare di giocare quando ogni giorno muoiono tante persone e ci sono medici e infermieri che lavorano senza sosta per salvare vite? Davanti a questo tutto passa in secondo piano e credo proprio che il provvedimento sarebbe dovuto arrivare prima».
Per fortuna la pallacanestro non è il calcio, dove in serie A si sta cercando di giocare ad ogni costo, cadendo anche nel ridicolo con questa specie di ossessione.
«Spero che da questa crisi mondiale ci possa essere un riequilibrio nello sport italiano, ma ne dubito. Premetto che a me il calcio piace moltissimo, ma non capisco perché ci debba essere così tanta differenza tra lo stipendio di un calciatore e di una cestista, quando entrambi fanno lo stesso stile di vita. Per non parlare della considerazione mediatica differente. Mi piacerebbe che ci fosse più rispetto per tutte le altre discipline sotto tutti i punti di vista».
Si riferisce anche al fatto che il basket femminile non è professionistico?
«Certo, perché questa situazione porta ad avere meno tutele, ma ripeto è una problematica che riguarda tutto lo sport e soltanto in Italia accade. In oltre vent’anni di carriera, soltanto l’anno in cui ho giocato in Francia sono stata considerata professionista».
Pensa quindi che la pallacanestro potrà cambiare in positivo?
«Il primo passo lo deve compiere la Federazione, perché senza un concreto aiuto perderà molte società in tutti i campionati. Certi costi riguardanti ad esempio le tasse non sono più sostenibili in questo momento».
Per non parlare della difficoltà di trovare gli sponsor.
«Dico una cosa negativa per il mio lavoro, ma che penso veramente. Se una azienda non dovesse più sponsorizzare in ambito sportivo, perché ha scelto di donare quella cifra agli ospedali o ai comuni, ne sarei felice, perché adesso è quella la priorità. Dobbiamo capire che il mondo è cambiato in queste settimane e anche lo sport deve adeguarsi. Detto questo non vedo l’ora di scendere in campo ancora, anche se al momento non saprei come potremmo farlo».
A cosa si riferisce?
«Un attore non può recitare senza pubblico e lo stesso discorso vale per noi giocatrici. Senza il tifo si perdono la grinta e l’adrenalina e mi chiedo se avrebbe senso giocare a porte chiuse. Poi c’è la tutela sanitaria di noi giocatrici, che saremmo a stretto contatto con avversarie che potenzialmente possono avere il coronavirus. Non credo che la soluzione sia fare un tampone ogni giorno…».
L’unica certezza però è che la rivedremo sul parquet ancora.
«Voglio festeggiare i 40 anni in campo e non voglio smettere dopo una stagione lasciata a metà come purtroppo spesso mi è accaduto in carriera. Le altre volte era per colpa di miei infortuni, mentre ora ad essersi fatto male seriamente è stato il mondo…».
Sia sincera: sareste potute andare in serie A1?
«Il gruppo era davvero forte e aveva la giusta mentalità: credo che ci saremmo potute divertire fino alla fine. Merito di Rossi che ha dato la sua impronta facendoci disputare una grande annata. A livello personale, non posso che ringraziare le compagne per avermi accettato nuovamente come giocatrice e per avermi messo nelle migliori condizioni».
Cosa sta imparando da questa situazione surreale che stiamo vivendo?
«Il coronavirus ci ha aperto gli occhi, facendoci capire quale sia la reale scala di valori nel mondo. Al primo posto ci sono la famiglia, gli affetti e gli amici, ma troppe volte lasciano spazio al lavoro e ai soldi che sembrano le uniche priorità. Questo non lo dovremo mai dimenticare».
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