Basket A2, alla scoperta di coach Cancellieri: "In campo ero moscio e prendevo tante botte, in panchina mi piace fare la guerra con tutti"

Romagna | 27 Dicembre 2019 Sport
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Stefano Pece
Massimo Cancellieri è il condottiero che ha portato l’OraSì Ravenna in testa alla classifica al termine del girone di andata, lassù dove non era mai stata prima di questa stagione. Un allenatore dal carattere schietto e fumantino che parla sempre onestamente, non si nasconde dietro alle parole e che con il suo modo di essere ha già fatto breccia nel cuore dei tifosi.
Cancellieri, partiamo dalle origini, perché ha scelto Ravenna?
«Perché voglio completare la mia carriera facendo qualcosa di importante da capo allenatore. Ho fatto sei anni ad altissimo livello a Milano ma quello non garantiva di andare ad allenare una squadra di livello altrettanto alto. Volevo un progetto che mi permettesse di essere me stesso. Inoltre, devo essere onesto, non è che avessi ricevuto così tante offerte. Questa secondo me era la migliore perché aveva tutto ciò che mi serviva».
Si è trasferito qui con la famiglia. Loro come si stanno trovando?
«Ravenna è un posto dove ambientarsi è facile. Per me non si trattava della prima migrazione, per la mia famiglia invece sì, ma mi sembra che si trovino bene. Ci sono state persone, senza fare nomi, che ci hanno aiutato ad ambientarci facendoci comprendere sia la logistica nei movimenti che l’approccio alla città. È una città che ti fa sentire a tuo agio».
È stato traumatico passare da una metropoli come Milano a un piccolo centro come Ravenna?
«Mentirei se dicessi di no. Lo stile di vita è completamente diverso e quello che mi manca è poter fare le cose a qualsiasi orario. Ho vissuto dieci anni anche a Roma e nelle metropoli puoi uscire a ogni ora del giorno e della notte perché ci sono sempre opportunità. I piccoli centri questo non lo permettono, ma a Ravenna si sta bene. Mia figlia è nata a Milano, ma è molto piccola e qui sta crescendo serena in un ambiente ideale».
Com’è stato l’approccio con la serie A2?
«Ci sono degli aspetti molto positivi, altri molto meno. Il numero delle squadre per esempio è troppo elevato. Questo spalma un po’ al ribasso la qualità. C’è stato un momento storico in cui era necessario aprire a tutti per fare la riforma dei campionati, ma adesso secondo me bisognerebbe tornare alle origini: tornare a un campionato a 12-14 squadre e imporre dei canoni di partecipazione, creando anche delle squadre accademia per lo sviluppo dei giocatori. Detto questo, c’è anche qualità, qualche giovane interessante c’è».
La formula di quest’anno con la fase a orologio le piace?
«Molto. Almeno è un modo per incontrare anche le squadre e, cosa altrettanto importante, gli arbitri dell’altro girone. Mischiare un po’ le carte è positivo».
Il suo modo di vivere la partita è molto sanguigno, viscerale, le fischiano un tecnico a ogni partita. Questo è un problema per lei?
«Assolutamente no. Vorrei fare anche di più. Ho una concezione dello sport molto chiara: voglio vincere sempre e faccio di tutto e do tutto me stesso per riuscirci, sempre nei limiti del lecito. Peso 20 chili bagnato e non ho mai fatto a botte in vita mia, pertanto questo è il mio modo per guerreggiare, mettendo pressione a tutti, ai miei giocatori, agli arbitri, agli avversari, anche al mio giemme e al massaggiatore. È il mio lavoro spingere tutti a dare qualcosa in più e lo faccio a modo mio. Se a qualcuno non piace non mi interessa».
Cancellieri giocatore, che tipo era?
«Ero un giocatore moscio che quando prendeva una botta si metteva a piangere. Ero esattamente il contrario di adesso. Inoltre giocavo fuori ruolo perché mi facevano fare il lungo e sono alto quanto un playmaker, e poi ero veramente scarso, tanto che a 20 anni, dopo le giovanili ho smesso e ho lasciato spazio ad altri. La mia carriera di giocatore non la auguro a nessuno. Però da lì ho cominciato a fare l’allenatore perché mi piaceva parecchio».
Che cosa avrebbe detto il coach Cancellieri al giocatore Cancellieri?
«Testuali parole? Sei moscio come la m...».
Molti professionisti che da giocatori erano dei campioni, da allenatori hanno fallito, ma è vero anche il contrario, che giocatori modesti sono diventati ottimi allenatori. Come si spiega questo?
«Sono mestieri completamente diversi. Gli ex giocatori che iniziano a fare gli allenatori capiscono solo in quel momento che devono cambiare mentalità. Sacchetti per esempio ha un modo di giocare molto brillante, tanti possessi, tanti tiri, votato all’attacco, ma da giocatore era molto metodico, molto ordinato. Lui è l’esempio positivo di come si cambia quando si viene a fare questo mestiere. L’unica cosa che rimane invariata sono le sensazioni che ti restano addosso quando hai calcato un campo. È una cosa impagabile e io questo non posso dirlo perché non ho avuto una carriera da giocatore. È l’unica cosa che mi manca».
Cosa fa Cancellieri nel suo tempo libero?
«Non ne ho molto. Essendo abituato a lavorare ad alti ritmi, continuo a farlo anche qui a Ravenna. Ovviamente sto con mia figlia, gioco con lei, guardo i cartoni animati e la porto fuori a fare delle passeggiate. E poi usciamo a mangiare con la famiglia, perché ho capito che qui in Romagna stare a tavola è una cosa importante. Ma tutti gli hobby che avevo li ho messi da parte».
Che hobby aveva?
«Leggevo molto, suonavo ogni tipo di strumento, guardavo serie tv di produttori indipendenti, leggevo molte graphic novel, correvo ogni giorno. Non faccio più nulla di tutto ciò, se ci penso mi viene la depressione (ride, ndr)». 
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