Basket A2, alla scoperta del preparatore atletico Poma: "Covid, infortuni e calendario: così curo i muscoli dell’OraSì"

Romagna | 29 Gennaio 2021 Sport
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Stefano Pece
Che la stagione sportiva sarebbe stata particolare lo si era capito fin da questa estate. Espressioni come porte chiuse, tamponi, controlli, contagi sono ormai entrate a fare parte del parlare quotidiano affiancandosi sempre di più a quelle del comune gergo sportivo. La situazione Covid ha cambiato molti aspetti dello sport, obbligando le società ad adattarsi. In questo quadro si è complicato anche il lavoro dei preparatori atletici. Salvatore Poma ricopre proprio questo ruolo nell’OraSì e si è trovato a dover rimettere in pista un’intera squadra dopo 20 giorni di stop forzato. Questo accadeva all’inizio della stagione regolare quando, in teoria, il gruppo avrebbe dovuto essere nel pieno della forma: «Il Covid condiziona in maniera sostanziale lo stato di forma di un giocatore, soprattutto nelle settimane successive al rientro - spiega -. Pertanto ho dovuto adeguare il mio lavoro a queste circostanze. I contenuti e le metodologie sono sempre le stesse, ciò che cambia è la loro applicazione a periodi di tempo diversi poiché, se prima erano validi per l’intera stagione, ora se si ferma per 20 giorni, il giocatore è come se ripartisse ogni volta da zero». Poma entra nel dettaglio di ciò che ha attraversato la squadra: «In quel lasso di tempo lo sportivo perde anche parte del tono muscolare poiché, pur avendo del materiale a casa, esso non è paragonabile a quello delle sale pesi. Rimettere in forma un giocatore dopo il Covid è una materia nuova che stiamo ancora studiando e che varia da soggetto a soggetto».
E non si tratta soltanto di lavoro prettamente fisico. I compiti del preparatore atletico abbracciano anche la sfera psicologica. Se questo era valido in condizioni normali, lo è a maggior ragione adesso: «Il lavoro psicologico è inevitabile perché lo stress fisico va di pari passo con l’umore. Il cervello del giocatore - sottolinea - manda uno stimolo al corpo e questo, se è in affanno, risponde in maniera diversa rispetto alle aspettative. In quel momento compaiono frustrazione, rabbia e nervosismo sui quali bisogna intervenire».
Per quanto riguarda l’OraSì, tra l’altro, dopo lo stop a causa della quarantena, a dicembre è arrivata una serie di partite che ha obbligato la squadra a giocare ogni tre o quattro giorni. Per lo staff di Salvatore Poma è stato necessario un superlavoro: «Bisogna fare una premessa - spiega il preparatore -. Il condizionamento del corpo di un giocatore deve prevedere dei tempi biologici, è per questo che la preparazione precampionato è programmata su un periodo di 6-7 settimane. In quel lasso di tempo non ci sono partite ufficiali, quindi il lavoro di messa in forma dell’atleta si svolge in maniera più tranquilla. Giocare invece tante gare ufficiali dopo essere ripartiti da zero condiziona ogni aspetto del nostro lavoro, anche perché non basta che il giocatore sia in grado di entrare in campo, deve anche offrire la migliore prestazione possibile».
In qualche partita l’OraSì è parsa in deficit di condizione. Durante la serie di 5 sconfitte consecutive, per esempio, sembrava a corto di fiato nel quarto periodo. Nelle ultime uscite pare invece avere superato quello scoglio. Segno forse che ora la squadra è al 100%? «Una squadra non è mai al 100% in una stagione - conclude Poma -. Essendo composta di elementi con caratteristiche piuttosto eterogenee, parte del nostro compito è fare in modo che la squadra mantenga una condizione il più omogenea possibile e il più a lungo possibile. Parlando in percentuali quello che tentiamo di fare è di tenerla sempre intorno all’80% evitando picchi di rendimento». Ma per riuscire a portarla nella condizione per arrivare in fondo alla stagione, lo staff di Poma ha dovuto mettere mano anche alla programmazione: «Abbiamo dovuto adattare anche quella perché ci troviamo a fare i conti con aspetti muscolari, tendinei e ormonali che non corrispondono a quelli delle annate precedenti, quindi mai come quest’anno il nostro lavoro deve essere coeso con quello dello staff tecnico e medico».
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