Basket A1 donne, intervista a coach Seletti: «La salvezza, il pubblico, il gruppo e il futuro: il mio lavoro a Faenza non è ancora terminato»

Romagna | 26 Maggio 2024 Sport
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Tomaso Palli
«Ha un contratto anche per il prossimo anno e quindi non serve aggiungere altro». Poche parole e piuttosto chiare per confermare coach Seletti sulla panchina dell’E-Work Faenza. A pronunciarle, tra queste pagine in paio di settimane fa, il presidente Mario Fermi che non ha lasciato spazio a interpretazioni. «Mi fa molto piacere che Mario (Fermi, ndr) non mi abbia messo in discussione - commenta oggi Paolo Seletti -, lui che mi ha sempre sostenuto anche nei momenti di difficoltà. Il prossimo anno? Certo che ci sarò, come ha detto il presidente ho un altro anno di contratto, mi sento che il lavoro qui non è finito e non mi piace lasciare le cose a metà». 
Coach Seletti, ora un passo indietro. Ha smaltito adrenalina e gioia per la salvezza?
«Sì, certamente. Ma non so se gioia possa essere la parola giusta. Forse più sollievo. Un traguardo come la salvezza lo si può raggiungere con percorsi diversi, ma è difficile sia strettamente connesso alla gioia. Certamente alla soddisfazione di aver raggiunto l’obiettivo, ma è un sollievo perché, al fatidico momento del playout, un po’ di paura arriva a tutti».
Per il presidente il bilancio è positivo. Lo è anche per lei?
«Ci eravamo detti di ricercare lo stesso risultato dell’anno precedente, la salvezza, con un utilizzo più mirato delle risorse: un budget inferiore del 30-40% e scelte più funzionali. Consapevoli di tutto ciò, ci siamo riusciti. Il bilancio perciò è positivo, perché abbiamo fatto ciò che ci eravamo detti. Ma qui subentra il come». 
E quindi… come?
«Con Mario ci eravamo detti di farlo in un clima sereno. Io, per mie caratteristiche, tendo ad avere un atteggiamento disteso in palestra. Per intenderci, non sono il Capuano del calcio (sorride, ndr). E devo dire che non so quanto questa cosa abbia pagato per la tipologia di gruppo. Non sempre le squadre e i caratteri differenti si incastrano perfettamente e perciò un approccio più diretto e rigido in certi momenti avrebbe forse evitato mal di pancia a noi dello staff, a Mario e alla società. Non mi piace fare così, come detto non è nel mio carattere, ma alla luce di come è andata la stagione, con un altro tipo di approccio avremmo potuto tirare fuori una situazione più controllata».
È un insegnamento che mette nel suo bagaglio? 
«È una cosa che non mi piacerà mai fare, ma dico che la stagione è stata molto istruttiva per me. È la prima volta che mi sono confrontato con una situazione tanto conflittuale in un gruppo e perciò, quando una prossima volta mi capiterà, saprò meglio cosa fare. Ma ci tengo a dire una cosa». 
Prego.
«Non voglio buttare la croce addosso alle giocatrici perché, quando c’è stato il momento in cui serviva compattarsi, sono state molto brave e professionali. È questo magari che lascia un po’ di rimpianto: se lo scatto fosse arrivato un po’ prima, probabilmente saremmo stati meglio insieme togliendoci qualche soddisfazione in più». 
Magari evitando i playout? Come detto da Fermi: la ciliegina su una torta comunque molto buona. 
«Sarebbe stata un’impresa titanica, ci mancava qualcosa a livello di qualità. Però qualche soddisfazione in più, nei momenti di difficoltà, sarebbe arrivata se ci fosse stata più coesione. Ma la squadra ha molto accusato il fatto di non essere unita e, quando è arrivato il temporale, ognuno ha gettato in mare la propria scialuppa provando a salvarsi in maniera individuale. Sarebbe stato meglio farlo collettivamente. Ed è questo ciò che più ci è mancato: fare le cose in maniera collettiva ci avrebbe probabilmente permesso di portare a casa qualche partita in più, con anche scalpi importanti». 
Cosa si porta dietro di questo anno?
«Il miglioramento delle giocatrici che si sono affidate alla nostra guida. È una grande soddisfazione e mi dimostra che chi ha voluto ascoltare ha fatto uno step in più e oggi si trova premiata. Al contrario, chi è stata più reticente nel farlo, oggi fa più fatica. E poi c’è l’ambiente. Arrivato a Faenza, conoscevo il tifo e la tradizione da avversario. L’ho aspettato per tutta la stagione ma in alcuni, e sono sincero, quando c’era giustamente qualche mugugno, sono rimasto un po’ deluso. Ma poi sono stato completamente ripagato nel playout dove il fattore campo è stato fondamentale. Abbiamo vissuto quel clima che mi ha fatto dire “ecco che è arrivato il fattore Faenza”». 
Qual è il lavoro per la prossima stagione?
«Con un anno di ambientamento in più, sono convinto di poter essere più utile. Ripartiremo probabilmente dal settore giovanile con l’obiettivo di ricostruire un’appartenenza al movimento della pallacanestro femminile faentina perché non ci può essere futuro per Faenza Basket Project senza un bacino giovanile che possa rifornire la prima squadra. L’impegno insieme a Mario è questo: costruire le fondamenta prima di pensare alla punta della piramide. Ma stiamo già lavorando al futuro e alla costruzione della squadra dell’anno prossimo».
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