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Ausl Romagna, intervista al dg Carradori: «Più risorse alla sanità pubblica; ai Cau servono alcuni correttivi»

Romagna | 21 Dicembre 2024 Cronaca
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La sanità pubblica nazionale è sottostimata oltre ad essere sotto finanziata. Per questo è andata incontro a reali sofferenze. Malgrado ciò, però, il nostro sistema regionale come quello di altre tre quattro regioni d’Italia considerate di alta qualità non ha nulla da invidiare, ad esempio, al sistema sanitario tedesco. Abbiamo voluto fare il punto con il direttore generale di Ausl Romagna, Tiziano Carradori, dirigente lungimirante di lungo corso, Direttore Generale dell’Ausl di Ravenna dal settembre 2004 al 2012, in seguito Direttore Generale Sanità e Politiche Sociali della Regione Emilia-Romagna e dal 1 luglio 2020 direttore generale di Ausl Romagna.
Carradori, la sanità pubblica rimane sottofinanziata anche dal governo Meloni. Il neo presidente E-R De Pascale ne ha fatto una bandiera in campagna elettorale. La nostra regione è ancora ai vertici nazionali per qualità dei servizi, ma quanto può reggere ancora così?
«La nostra sanità che pure presenta dei limiti ha dei meriti incontestabili: il nostro è il Paese che ha avuto la più grande progressione dell’aspettativa di vita dagli anni ‘50 in avanti. Abbiamo, poi, una delle più alte sopravvivenza a 5 anni da una diagnosi di tumore ed una delle più basse mortalità per eventi cardio vascolari. Abbiamo certamente anche dei problemi, ma i successi superano di gran lunga i limiti persistenti ,tra i quali il grande divario tra nord e sud del paese. Nonostante ciò, la scarsa considerazione della sanità in Italia va avanti, purtroppo, da almeno tre lustri. Tutti i governi che si sono succeduti hanno investito in sanità sempre più soldi dell’anno precedente, ma se guardiamo la spesa a prezzi costanti, l’Italia e la Grecia sono tra i paesi dell’Europa occidentale che hanno avuto una riduzione della spesa pro capite del 5,6%. Il sistema sanitario nazionale soffre ed è chiaro che nessuna regione può salvarsi da sola. Il nostro è un sistema di qualità che tiene, ma non può prosperare e sopravvivere come avverrebbe se l’attenzione alla sanità diventasse una priorità a livello nazionale. Con il passare degli anni il denaro da investire sarà sempre meno, pertanto sarà fondamentale dare le giuste priorità ed indirizzarlo ad un settore piuttosto che ad un altro. Salute non significa solo cure in ospedale ma presa in carico globale della persona. Ciò si deve tradurre in servizi territoriali, domiciliari e prevenzione. Analogamente occorre un finanziamento adeguato , garantito secondo principi di equità e solidarietà. Non è vero che i servizi universalistici costano più degli altri. In America la sanità è molto più costosa della nostra, ma meno solidale ed equa. Apprezzo che il neo presidente della regione De Pascale abbia fatto della sanità una delle sue priorità: in un’ottica prettamente economica una popolazione in salute significa prosperità anche per i contribuenti. Ricordo che l’Emilia Romagna non è una ricchezza solo per quanti ci vivono, ma è anche la prima regione alla quale si rivolgono gli italiani quando scelgono di curarsi fuori dalla propria».
Il 2024 è stato anche l'anno dei Cau. Che bilancio può fare in Romagna? Vanno corretti?
«I Cau sono stati un doveroso tentativo di rispondere alla domanda della cittadinanza, ma come tutti gli interventi, per quanto positivi se non sono inseriti in un contesto di coerenza generale prima o poi perdono efficacia. Ne do un giudizio positivo, i risultati sono incoraggianti, ne abbiamo attivati più della metà del numero stabilito dalla Regione, ma credo ci si debba chiedere primariamente il motivo dei tanti accessi di codici bianchi e verdi al pronto soccorso, perché evidentemente qualcosa non funziona nella rete di erogazione dei servizi: si va in ospedale, infatti, quando non si sono trovate risposte in tempi rapidi e complessivi. Credo che i problemi derivino, spesso, dai limiti della sanità territoriale: abbiamo da poco attivato le COT, centrali operative territoriali (strutture altamente specializzate, deputate al coordinamento e all'ottimizzazione degli interventi sul territorio e alla supervisione delle risorse sanitarie e assistenziali disponibili ndr) ed ho già assunto 200 dei 330 infermieri che serviranno per potenziare la rete. I Cau vanno inquadrati in una rivisitazione complessiva delle cure primarie. Vanno, poi, migliorate alcune procedure come, ad esempio evitare che un cittadino che viene mandato al Cau dal triage del pronto soccorso debba rifare tutta la procedura di accettazione. Infine, dando pieno impulso alle Case della Comunità i CAU potrebbero venir collocati al loro interno ed essere attivi h.24».
Grazie al Pnrr molti progetti anche per l'Ausl Romagna sono stati finanziati. Quali sono i cantieri principali entro il 2026? Il crono programma prosegue regolare?
«Stiamo rispettando il crono programma: gli ammodernamenti tecnologici sono già quasi tutti posizionati e collaudati, abbiamo già realizzato una serie di interventi sulle Centrali operative e per le Case della comunità di Ravenna, Rimini e Faenza i lavori sono partiti. Il problema sono i costi: quando abbiamo stilato i programmi le materie prime avevano costi differenti dunque ci siamo dovuti rimodulare per starci dentro. Detto ciò, l’opportunità data dai finanziamenti del Pnrr l’abbiamo sfruttata appieno».
Il tema delle liste d'attesa rimane sempre in primo piano. Dopo gli anni del Covid c'era stato un parziale recupero. A che punto siamo? Quali sono gli esami con maggiore attesa?
«Quello dell’attesa è, purtroppo, un problema internazionale. Durante la pandemia c’è stato un calo di produzione ed un accumulo di prestazioni mentre nella fase post pandemica abbiamo recuperato tutto. Oggi resta la discrepanza tra domanda di prestazioni e capacità di produrle che dipende dalle risorse mobilitate. Tanto più si producono impegnative tanto più s’incide sulla mancata riduzione dei tempi di attesa. Tanto più offri tanto più qualcuno chiede: la nostra regione ha un consumo del 50% superiore a quella del Veneto e, come già detto, siamo la regione di Italia che attrae di più cittadini da altre regioni. L’Emilia Romagna ha una produzione molto superiore alla domanda della nostra popolazione e gran parte delle prestazioni le rendiamo disponibili a chi viene da fuori: nel 2024 abbiamo aumentato del 20% le nostre prestazioni arrivando ad un +250 mila su base annua, in ulteriore crescita rispetto allo scorso anno. Il nostro personale lavora molto, le nostre sale operatorie e le nostre strumentazioni sono sfruttate al massimo. Detto ciò, in Romagna, abbiamo il 30% di esami endoscopici in più rispetto alla media regionale, un esame invasivo per il quale serve un medico non un tecnico e se manca, vista la carenza di sanitari a livello nazionale, i tempi di attesa si allungano. Ma è anche vero che se il cittadino risulta positivo allo screening per il sangue occulto, in soli 10 giorni gli viene dato l’appuntamento per l’endoscopia. Bisognerebbe fare più prevenzione: oggi i giovani si ammalano molto prima rispetto ad un tempo e questa tendenza va contrastata».
Per l'assessorato regionale alla Sanità è stato nominato Massimo Fabi, direttore generale a Parma. E' l'uomo giusto al posto giusto per riformare il sistema sanitario del territorio?
«Stimo molto Massimo Fabi, non gli manca nulla per fare ciò che serve. Ciò detto, ribadisco che la sanità ha bisogno di una nuova attenzione della politica che deve porre questo tema al centro di ogni programma regionale e nazionale. E questo perché, per il 60% la salute di un cittadino non dipende dai servizi sanitari, ma dall’alimentazione, dall’educazione, dall’abitazione e dall’ambiente. Oggi non si può più parlare di risparmio: non possiamo tagliare ulteriormente posti letto e ospedali, ma dobbiamo puntare a ridurre il carico di malattia e poi gestirla nel migliore dei modi. Come detto, i giovani si ammalano molto prima e quando ci si ammala l’individuo non andrebbe lasciato solo, ma ci dovrebbe essere la presa in carico per la quale non serve sempre un medico, salvo in presenza di un problema particolarmente serio. Potrebbe bastare un tecnico che monitora i parametri. Con la presa in carico un cardiopatico, ad esempio, avrà minori tempi di attesa e più rapido accesso ai farmaci. Questa regione vanta dei livelli di qualità dei servizi sanitari tra i più elevati, ma non ci si deve mai fermare: per quanti servizi diamo, abbiamo ancora il 40% dei nostri anziani che non hanno accessi adeguati anche economici alla residenzialità o alla domiciliarità. Siamo in alto nella graduatoria delle regioni virtuose, ma ci serve non un cambiamento, ma una reale trasformazione». (marianna carnoli)
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