Ausl Romagna, Il pediatra Renzelli: "Influenza lunga e aggressiva"
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Silvia Manzani
«È una forma molto aggressiva, con picchi febbrili elevati, che a volte si complica con esiti broncopolmonari». Cesare Renzelli, medico della Pediatria dell’ospedale di Ravenna, in questi giorni sta vedendo, anche tra i bambini, diversi casi di influenza: «Quest’anno assistiamo a febbri che durano molto giorni e che rispondono in maniera modesta agli antipiretici. Questo spaventa molto i genitori, che vanno senza subbio rassicurati». Non stanno mancando, in Pediatria, anche i ricoveri: «Qualche bambino viene trattenuto proprio per non essere sovraccaricato di farmaci e per essere osservato meglio. A differenza dei pediatri di famiglia, qui abbiamo il “privilegio” di poter vedere i bambini in modo più approfondito, sottoponendoli anche agli esami del caso. Sarà anche per questo che abbiamo un numero di accessi, in pronto soccorso pediatrico, spesso ingiustificato. Io non condanno i genitori, dico solo che venire in ospedale non dovrebbe essere la prima scelta: se il bambino ha solo la febbre alta è consigliabile attendere la visita dal pediatra, a patto che sia programmabile nel giro di poco. Se, invece, il bambino non mangia, non fa pipì, fa fatica a respirare ed è molto spossato, se il pediatra non è disponibile l’unica risposta è l’ospedale. Poi non nego che sia facile dire a una mamma o un papà che è venuto in pronto soccorso per nulla quando ho già visitato il figlio e ho capito che non ha nulla di importante». Quel che invece, secondo Renzelli, è sbagliato, è somministrare antibiotici per l’influenza in sé: «Capita che quando la febbre dura a lungo, si opti per gli antibiotici, che invece non servono. Magari dopo un giorno o due la febbre scompare ma è solo perché l’infezione ha fatto il suo corso. I genitori magari si tranquillizzano e danno il merito all’antibiotico ma non è così. Si rischia solo, in questo modo, di selezionare germi sempre più resistenti e di avere sempre più difficoltà a trattare le infezioni. Il problema, dunque, è la farmacoresistenza. Non nascondo, certo, che per i pediatri sia difficile, visto che non hanno la possibilità di vedere i bambini più volte nel corso della malattia».