Andar per presepi scegliendo quelli immortali del territorio

Romagna | 07 Dicembre 2019 Tradizioni
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Sandro Bassi - Proporre un itinerario «per presepi» nell’imminenza di Natale può sembrare una banalità, ci mancherebbe. Eppure, a parte i presepi propriamente detti, di allestimento domestico o chiesastico (e in quest’ultimo caso possono essere particolarmente belli, anche con notevole interesse artistico o antiquariale, fino alle più remote parrocchie di campagna), ci sono alcune assolute raffigurazioni della Natività che meritano, eccome, di essere viste subito prima delle feste. 
Se i primi presepi come rappresentazioni evocative, statuarie o «teatrali», possono essere ricondotti a San Francesco (anno 1223 a Greccio, nella conca reatina, in versione vivente) e ad Arnolfo di Cambio (1288-91 in Santa Maria Maggiore a Roma), le prime Natività risalgono a parecchi secoli prima, com’è ovvio che sia. E’ ovvio perché l’immagine della Nascita di Gesù diventa divulgabile e divulgata subito dopo la fine della clandestinità del Cristianesimo, quindi appena dopo l’Editto di Costantino del 313. Anzi, nasce forse prima, in una catacomba siracusana, il presepe davvero più antico del mondo, scolpito su un sarcofago nel IV secolo, trovato come reperto archeologico nel 1872 e oggi conservato nel museo Paolo Orsi della città siciliana. Tuttavia, giusto per rimanere ad un più corto raggio, segnaliamo che presepi antichi e suggestivi si trovano anche a Bologna (Sette Chiese di Santo Stefano, fine XIII sec. ad opera di un anonimo che scolpisce cinque tronchi di tiglio e di olmo, poi colorati magnificamente nel 1370 da Simone De’ Crocefissi), a Modena (Duomo, 1527, terrecotte di Antonio Begarelli) e ad Urbino (oratorio di San Giuseppe, 1555, di Federico Brandani: una decina di figure a grandezza quasi naturale in stucco, tufo e pietra pomice).
Ma campanilisticamente rimaniamo in Romagna, più a portata di mano ed estendendo il concetto di presepe fino alle raffigurazioni, pittoriche o scultoree, di quell’evento universale e simbolicamente profondo per chiunque, anche per un ateo, che è la Natività.

L’ITINERARIO ROMAGNOLO
Non si può che iniziare dalla «mitica», notissima rappresentazione musiva in Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. Si tratta di un’Adorazione dei Magi, con questi ultimi rappresentati in pantacalze leopardate secondo una moda squisitamente orientale. Gli autori sono abilissimi mosaicisti del primo VI secolo, di provenienza ignota. La chiesa è gota, commissionata da Teoderico, e per gli esecutori si deve trattare di artisti bizantini (e quindi di cultura greca), presenti in città da tempo per via dei rapporti commerciali-politico-diplomatici tra le due capitali, Ravenna e Costantinopoli, oppure di maestranze locali che avevano già assorbito le tecniche e i linguaggi iconografici provenienti da Oriente. I Magi sono fantastici in tutti i sensi e possiedono quell’alone di mistero esotico secondo la tradizione che li vuole vecchi astronomi sapienti, provenienti dal mondo lontano della Persia, portatori di oro, incenso - un disinfettante prezioso per un neonato, consistente in una resina oleosa ottenuta da arbusti presenti nella penisola arabica - e mirra (idem o quasi).
Per analogia, saltiamo alla lunetta esterna sul portale di San Mercuriale a Forlì: come in un arcaico fumetto, i Magi prima dormono, poi, avvisati dall’Angelo, si alzano, si vestono e si recano alla Capanna. Si tratta di una mirabile scultura databile al 1230 circa e attribuita al «Maestro dei Mesi di Ferrara», nome convenzionale che identifica un altissimo artista padano, forse seguace di quel Benedetto Antelami attivo a Parma e a Fidenza.
Ma torniamo a Ravenna perché con lo stesso biglietto valido per Sant’Apollinare possiamo accedere anche al Museo Arcivescovile dove troviamo la cattedra in avorio del vescovo Massimiano che presenta, fra le tavolette dello schienale, una rara Natività ispirata da un Vangelo apocrifo, con l’ostetrica punita con la paralisi della mano per non aver creduto alla verginità della Madonna. Tutta la cattedra è un capolavoro di intaglio risalente alla metà del VI sec. e attribuito (ma non si è certi) a maestri bizantini o egiziani (Alessandria?). Nella stanza adiacente c’è infine un bel bassorilievo in marmo con una Natività del mantovano Giovanni Boni, datata 1493, che si segnala soprattutto per la purezza del materiale, di lucentezza saccaroide.   
Ma arriviamo infine a Faenza, dove nella Pinacoteca Comunale ci aspettano due radiose Natività, entrambe di Giovan Battista Bertucci il Vecchio (1465-1516), pittore faentino che ebbe contatti con l’ambiente umbro: sposò una donna di Norcia e vide certamente le opere di Perugino e di Pinturicchio. Nella prima tra queste c’è una visione serena della Capanna con un San Giuseppe giovane e dai capelli nerissimi e con, sullo sfondo, il successivo episodio della Fuga in Egitto; la seconda invece è un’Adorazione dei Magi dalla composizione affollata e coloratissima. 
Assolutamente spettacolare è il Presepe Zucchini al Mic, attribuito, con qualche dubbio, al misconosciuto Filippo Galli (metà Ottocento) per la parte statuaria in terracotta dipinta a freddo e al ben noto Romolo Liverani per lo sfondo in cartoncino raffigurante ponti, passerelle, cascate, rovine, poi un’indefinita città orientale fra palmizi e moschee e altri scorci di visionario romanticismo teatrale. Le 61 statuette in primo piano sono bellissime, anche se debitrici del presepe di tradizione bolognese, genovese e napoletana: si vedano in particolare il Dormiglione, la Donna che picchia il bambino, l’Ubriacone, l’Acquafrescaro e gli altri Artigiani. Di ispirazione faentina sono invece il San Giuseppe, memore della statua del Ballanti Graziani in Duomo e il Pellegrino, abbigliato come il classico reduce da Compostela, con la conchiglia, il bastone e il cappello a larga tesa. Buon Natale a tutti.
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