Alberto Cassani ha pubblicato un nuovo romanzo per Baldini e Castoldi, «Una giostra di duci e paladini»

Romagna | 17 Marzo 2021 Cultura
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Federico Savini
«Un intreccio noir serve a rendere avvincente la lettura, tanto più se come in questo caso la trama nasce in provincia ma prende derive addirittura internazionali. Sono però soprattutto i sottotesti, legati in particolare ai bilanci e agli orizzonti di una generazione che corrisponde alla mia, il principale interesse che avevo nello scrivere questo secondo romanzo». Alberto Cassani torna a pubblicare un corposo romanzo (di circa 350 pagine) con l’importante editore nazionale Baldini & Castoldi e sotto molti aspetti dà un seguito coerente - ancorché totalmente slegato in termini narrativi – al precedente libro Il Treno di Mosca.
Il nuovo romanzo si chiama Una giostra di duci e paladini e racconta del giornalista cinquantenne Victor Costa, ex intellettuale impegnato riconvertivo al giornalismo scandalistico, che si ritrova tra le mani uno scoop anche troppo grosso, capace di preoccupare persino il Capo di Governo italiano; cosa che costringerà Victor alla sparizione e rimetterà
in moto la vecchia amicizia dei suoi compagni di gioventù, che cercheranno di seguirne le tracce prima che a trovare Victor sia qualcuno con molti meno scrupoli…
«Ho scelto un titolo non scontato, che credo possa evocare molto e intrigare i lettori - dice Cassani -. Il riferimento ai duci e ai paladini è una citazione di Goethe, tra l’altro con una traduzione diversa da quella classica, ma in generale si tratta di figure confacenti alla storia che racconto».
E la giostra?
«Quella ha due significati: da una parte si sottolinea il fatto che la vicenda è molto movimentata. Parliamo di un libro in cui succedono davvero tante cose e c’è un’alternanza turbinosa non solo degli eventi ma anche dei registri narrativi. Il plot è drammatico ma il tono è spesso ironico. E poi c’è il richiamo alla giostra, che è una cosa che diverte ma è anche quella medievale, nella quale i duellanti rischiavano la vita. Vibra un equilibrio sottile dietro ai significati di questa parola».
In comune con L’uomo di Mosca ci sono almeno l’imponenza dell’intreccio noir, la sparizione di persone e un sottotesto che ha a che fare con la politica e la storia passata…
«Sì, certamente uno dei temi principali affrontati in entrambi i romanzi è quello della memoria dei protagonisti, nel senso di conservare la memoria
di come si faceva politica in passato e di come la si è fatta poi. Non emetto giudizi ed evito la nostalgia, che è un sentimento privato, anche poetico, ma
in politica è sostanzialmente sterile. Quello che mi interessa è mantenere viva la memoria della politica del passato, perché possa essere utile anche oggi. Viviamo tempi in cui quello che succedeva tre mesi fa è già considerato vecchio; figurarsi quello che è successo 30 anni fa… Mi interessa la salvaguardia del passato, non il giudizio. Chiaramente, lo strumento del romanzo prevede per natura anche una certa distanza da ciò di cui si racconta».
È possibile però attribuire al nuovo libro delle valenze generazionali?
«Di sicuro è centrale il tema del confronto tra due generazioni: quella “di mezzo”, grossomodo dei cinquantenni di cui anch’io faccio parte, e quella che l’ha preceduta. Mi interessa provare a tirare le somme di questo confronto, alla luce della visione del mondo che può avere una persona della mia generazione, che ha subìto un forte disorientamento rispetto alla tensione ideale e politica di chi ci ha preceduti. Un bagaglio di esperienze molto diverse ci ha segnato e devo dire che la mia generazione sembra avere smarrito, se mai l’ha avuta, la disponibilità ad impegnarsi per costruire nuovi ideali. Una cosa che senz’altro riuscirà meglio ai più giovani, o almeno dovrebbe. Il rapporto con la generazione successiva viene comunque toccato solo in un punto del romanzo, verso la fine».
Il libro ha una pluralità di protagonisti. Quali possibilità fornisce a un narratore?
«In generale concede proprio maggiore libertà e la possibilità di raccontare
più storie. Un altro tema che mi interessava approfondire è proprio quello dell’amicizia e quindi del continuo confronto tra persone e modi di guardare il mondo. Nel romanzo si vengono a incrociare le traiettorie esistenziali di tanti personaggi, con le loro differenze caratteriali e umane».
Il libro parte da una città di provincia - che è facile immaginare molto simile a Ravenna - e poi si snoda per grandi capitale europee fino a toccare Bangkok, per poi ripiegare. La provincia fornisce una prospettiva particolare da cui guardare alle grandi trame internazionali?
«Secondo me sì. Il fatto che l’ottica sul mondo che prevale nel libro nasca dalle osservazioni di personaggi provinciali è del tutto voluto. Non ho, infatti, presentato figure di intellettuali cittadini. Il rapporto con la provincia segna tutti i protagonisti, anche chi vive lontano e chi affronta disavventure lontano da casa. Il confronto tra la mentalità cittadina e quella provinciale è un altro tema centrale, soprattutto quando i provinciali si trovano immersi in un mondo contaminato e ben più complesso rispetto alla cronaca spicciola tipica delle città di provincia. La vicenda di Una giostra di duci e paladini comunque nasce e si conclude in provincia, ma pratica per ritornarci fa il giro del mondo».
 
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