«Al Dio Sconosciuto» è il nuovo cortometraggio della faentina Samantha Casella, premiato a Los Angeles

Romagna | 18 Maggio 2020 Cultura
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Federico Savini
«Horror e poesia mi interessano fino a un certo punto. All’horror preferisco l’oscurità annidata nel cuore della natura e delle persone, alla poesia preferisco la liricità di alcuni sentimenti, come l’amore». C’è da credere a Samantha Casella, che certo non ha girato un horror e non fa la poetessa. Non di meno, questo non ha impedito al suo nuovo cortometraggio, Al Dio Sconosciuto, di portare a casa il premio come «Best Action / Adventure Short» all’Hollywood Blood Horror Festival, il titolo di «Best Female Director» al Berlin Underground Film Festival, il «Silver award» come corto sperimentale e due menzioni all’Independent Shorts Award di Los Angeles e un’altra menzione al Prague International Film Festival, oltre alla partecipazione al Golden State Film Festival, sempre a Los Angeles, e ancora al Global Shorts e pure a rassegne di Berlino e Montreal.
La faentina Samantha Casella aveva già fatto incetta di premi internazionali in festival di cortometraggi meno di due anni fa, con il fortunato  I am Banksy, corto di fiction (ma neanche troppo) dedicato ai misteri che aleggiano sul più celebre street-artisti del mondo, ma il suo percorso comincia molto prima. Diplomatasi in tecniche narrative alla scuola Holden di Alessandro Baricco, già nel 2000, appena maggiorenne, Samantha si fa notare nell’ambiente con un corto d’esordio, Juliette, che incamera la bellezza di 19 premi in giro per l’Europa. La sua produzione di cortometraggi prosegue abbastanza sostenuta nel primo decennio del nuovo secolo (concorre anche in una sezione del Festival di Venezia, dirige un film commissionato da Vittorio Sgarbi), salvo diradarsi nel decennio successivo a causa di impegni professionali nei settori dello sport (del tennis in particolare) e della moda. Ma il cinema è sempre stato molto più che un pallino. E lo si vede bene in Al Dio Sconosciuto, corto anti-narrativo basato su tre poesie di Esenin, Steinbeck e Rimbaud, che fanno da filo conduttore lirico a immagini estremamente suggestive, che raccontano di natura selvaggia e recondite profondità emotive degli uomini, con l’ausilio anche di qualche efficace - e molto poetico - effetto visivo. E in una delle tre sezioni c’è pure un attore faentino: Brian Witt, pseudonimo di Matteo Fiori.
«I Am Banksy aveva riscosso tanti consensi negli Stati Uniti, principalmente a Los Angeles - spiega Samantha -. Così, all’interno del mio gruppo di lavoro The Wild Bunch era emersa l’esigenza di girare qualcosa di nuovo per l’annata 2020 nei Festival. In parallelo sarebbe partita anche la produzione del mio primo lungometraggio».
Una cosa che ti avrei chiesto che alla fine. Ma parliamone...
«Il punto di partenza, per tutto quanto, viene da una serie di immagini e di situazioni suggestive accompagnate a versi poetici di Sergej Esenin, che avevo appuntato diverso tempo fa. Oggi mi riesce persino difficile ricostruire coerentemente il processo di crescita del cortometraggio, perché per quanto mi sia stato suggerito con entusiasmo di estrapolare alcuni elementi primordiali presenti nel blocco di Esenin, tentando poi di farne un trittico e di aggiungere altri due autori, tutto si è un po’ fuso insieme. Al punto che l’inserimento di un capitolo incentrato su un libro di Steinbeck e un altro sulla poetica di Rimbaud è stato un processo fluido, direi istintivo. Certo, di “ragionato” c’è il ripetersi di elementi simbolici come l’acqua, il sangue, la Natura, Dio e l’amore, ma lo sviluppo di Al Dio Sconosciuto è proseguito anche in una fase di riprese durante la quale sono cambiate tante, tantissime cose. Se poi tutto dovesse andare come deve, la mia opera prima sarà l’estensione a lungometraggio di Al Dio Sconosciuto».
Sarà un film anti-narrativo?
«Diciamo che ai contenuti poetici ho integrato elementi narrativi. Le lingue dei tre capitoli e la scelta degli autori resterà invariata, dalla lingua russa per Esenin si passerà all’americano per Steinbeck fino al francese per Rimbaud. La produzione si può considerare partita e a giugno dovrebbero iniziare alcune riprese, anche se alcune ambientazioni impongono che il grosso del film sia girato tra settembre e novembre».
Il successo del film precedente è stato d’aiuto?
«I riscontri di I Am Banksy mi hanno certamente aiutata a lavorare in libertà, ad essere affiancata da persone che non solo mi hanno aiutata, ma pure seguita con fiducia».
Hai presentato il corto anche in un festival horror, ma si direbbe più un film a dimensione poetica. Tu come lo definiresti?
«Il Ffstival horror che l’ ha richiesto è un evento piuttosto importante a Los Angeles e comprende anche la categoria “action / adventure”, che vuol dire tutto e niente. Gli organizzatori mi hanno semplicemente invitata a partecipare e l’ho fatto anche se, alla base, Al Dio Sconosciuto non ha nulla riconducibile al genere horror. Definirlo credo sia difficile, abbiamo vinto premi nella categoria “cortometraggi sperimentali”, ma non mi sento neppure di associarlo a questo genere, non fino in fondo almeno. Probabilmente hai trovato la definizione giusta, attraversa una dimensione poetica oscura, carica di qualcosa di indefinito, inquieto».
La Natura è una forza centrale in questo film. Come mai?
«Soprattutto nel primo e nel secondo capitolo la Natura è un elemento fondamentale che si plasma con l’annientamento del tempo. La Natura mi affascina e mi intimorisce, voglio credere che sia in grado di schiacciare l’essere umano, intimidirlo, di rendere tanti ideali privi di spessore al cospetto della sua forza».
Il film è stato in parte girato anche a Faenza, giusto?
«A Faenza ho girato brevi frammenti, ma molto materiale alla fine è stato eliminato. Ci tengo a considerarlo un lavoro anche italiano, ma sinceramente non so nemmeno se lo presenterò a Festival italiani, dato che il punto di partenza dell’intero progetto era un’ottica legata al circuito americano».
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