«Aiutate l'Ucraina»: da Ravenna l'appello dell'associazione Malva, la responsabile Kateryna Shmorhay: «Continuiamo a mandare aiuti a Kiev»

«Continuiamo a mandare aiuti nel nostro Paese, l’emergenza purtroppo non è finita, tutte le settimane ormai da tre anni inviamo medicinali in un ospedale di Kiev e in una città portuale viciino ad Odessa. A fine 2023 in provincia di Ravenna c’erano ancora 1.200 rifugiati, oggi sono meno, chi è rimasto ha trovato lavoro e chiede il regolare permesso di permanenza, non più come rifugiato».
Kateryna Shmorhay si commuove ancora nel parlare del suo paese dove ha lasciato anche parenti stretti. Da tre anni è in prima fila con l’associazione Malva di Ravenna per far conoscere le atrocità commesse dai russi in territorio ucraino dopo l’invasione ordinata da Putin. Oltre agli aiuti, manifestazioni, mostre, incontri e tanta attività anche sui social per tenere informata il più possibile la comunità ravennate e non solo della situazione in cui gli ucraini sono costretti a vivere con la guerra in casa.
Kateryna, che di mestiere fa l’operatrice socio-sanitaria, è sposata con un italiano e ha una bambina, ha la famiglia d’origine, sua madre e due sorelle in Ucraina, in una regione al confine con la Polonia. Nel 2020 a poche settimane dall’invasione russa ci aveva racontato. «Non ci fidiamo né di Trump, che è molto pericoloso e rischia di farsi indirizzare da Putin contro di noi e neanche dell’Europa, che deve fare di più per noi ucraini. Da quando nel 2014 la Russia ha invaso il Donbass e la Crimea, portando all’allontanamento del presidente Janukovyc e a disordini e violenti. Scontri finiti con la stipula di accordi tra il nostro Paese e l’Unione Europea. Oggi la situazione rischia di ripetersi. In quella zona non è cambiato nulla per la popolazione, tuttavia la propaganda russa, attraverso una strategia di martellamento continuo, contribuisce ad aumentare la tensione. Vorrei fosse chiaro quanto anche noi ucraini siamo in un certo senso russi, la stessa vicepresidente dell’associazione Malva ha padre ucraino e madre russa e parla il russo. Noi, pertanto, non abbiamo nulla contro la popolazione russa, ma vorrei far capire in maniera altrettanto chiara quanto per noi sia fondamentale essere un Paese indipendente e mantenere questa autonomia, di cui il 24 agosto 2021 è ricorso il 30°anniversario».
Gli ucraini presenti in provincia erano già 2074 (dati Istat 1 gennaio 2020), di cui 904 in città, 148 a Lugo e 354 nel comune di Faenza. Si tratta di una comunità coesa e molto attiva nel sociale, composta per oltre la metà da donne che svolgono mansioni di assistenti familiari nell’ambito della cura agli anziani, arrivate in Italia vent’anni fa, pertanto oggi con un’età media che supera i 50 anni, le quali già nel 2003 hanno operato al consolidamento del proprio credo religioso, con la costituzione della chiesa cattolica ucraina con rito bizantino presso la chiesa di San Giovanni Battista a Ravenna. Nel 2015 si sono poi costituite in associazione, per rendersi più visibili sul territorio e collaborare attivamente con il Comune di Ravenna attraverso la partecipazione ad eventi come il Festival delle Culture e la realizzazione di laboratori e giochi per i bambini e con associazioni di volontariato come l’Anpi per organizzare raccolte fondi e iniziative sociali.
«Per colmare il senso di vuoto che ognuno di noi si porta dentro quando lascia il proprio Paese per vivere in un altro – conclude Kateryna - noi ucraini ci siamo, in questi anni, sempre più avvicinati gli uni agli altri e davanti alla crisi del nostro Paese, sentiamo tutti aumentare l’inquietudine. Al momento non si tratta di far fronte a difficoltà oggettive, perché ancora oggi riusciamo a metterci in comunicazione con i nostri cari, i pullman partono regolarmente così come arrivano i pacchi che inviamo a casa. Tuttavia l’emotività dilaga, amplificata dal continuo ripetersi di notizie tutt’altro che rassicuranti». (m.p.)