A Sant’Agata Feltria dove l’arte parla faentino 

Romagna | 07 Dicembre 2020 Cultura
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Sandro Bassi - Prima o poi il Covid finirà, tornerà la primavera e la voglia e la possibilità di uscire per vedere il mondo. Come itinerario per questo numero proponiamo una scampagnata nell’alta collina cesenate-riminese in un paese che ha diversi legami, perlomeno ideali, con Faenza.
E’ Sant’Agata Feltria, arroccata a 600 metri di altitudine sul crinale tra Savio e Marecchia, accessibile facilmente da Sarsina (quest’ultima a sua volta raggiungibile in breve con l’E45) voltando a sinistra appena prima della città di Plauto lungo la strada provinciale che risale la boscosa valle del torrente Fanante. Famosa per la sagra autunnale del tartufo e per la cornice presepiesca che la rende meta prediletta per il Natale, Sant’Agata è però molto, molto di più.

GIOIELLI ARCHITETTONICI
Sant’Agata si presenta subito bellissima, dominata com’è dalla Rocca Fregoso, capolavoro di architettura militare rinascimentale - la progettò nel 1474 il senese Francesco di Giorgio Martini - su preesistente insediamento medievale dell’XI secolo. Si nota subito come la mole edificata sia la continuazione della mole naturale costituita dal Sasso del Lupo (anticamente detto Petra Anellaria) che le fa da supporto precisissimo, al punto che lo spigolo dell’elegante torrioncino sul lato ovest coincide perfettamente con il sottostante spigolo di roccia.
Nel XVI e XVII la Rocca fu feudo dell’illustre famiglia genovese dei Fregoso che la trasformarono in residenza signorile, atta ad ospitare la loro raffinata corte; attualmente è adibita a museo della Fiaba.
Il gioiello unico di Sant’Agata è però il teatro «Angelo Mariani» che si affaccia sulla piazza centrale e che risulta essere «il più antico teatro italiano interamente in legno»; c’è un po’ di esagerato in questa lapidaria affermazione, ma è certo si tratti di un gioiello prezioso e meritevolissimo d’esser visto, quando c’è spettacolo oppure anche da vuoto, senza lustrini e senza attori, nella sua pura veste architettonica (cosa possibile ogni giorno, ad offerta libera, grazie ad un servizio di volontari).
Si trova al pian terreno del Palazzo della Ragione, sede comunale eretta nel 1605 appunto da Orazio Fregoso; il signore genovese volle espressamente una sala adibita a recite teatrali, utilizzabile dalla gioventù santagatese. Nel 1723 ad opera della Società Condomini, si iniziò a costruire un teatro vero e proprio, tutto in legno, ultimato nel 1753 e costituito da tre ordini di palchetti, per 120 spettatori.
Qui nel 1838 nacque una ben organizzata Accademia Filarmonica che ricevette ulteriore impulso dalla chiamata, in qualità di direttore, del ventenne ravennate Angelo Mariani, Questi si era appena diplomato in violino e pianoforte ma nel giro di pochi mese, grazie alle solide basi acquisite, imparò a padroneggiare tutti gli strumenti a fiato (soprattutto tromba, trombone, bombardino, flauto e clarino) e a dirigere un’intera orchestra. Mariani si vide riconfermare l’incarico per due anni, incarico che ricoprì con scrupolo ed entusiasmo malgrado i vari impegni cui dovette far fronte dato che la sua fama come direttore d’orchestra stava oltrepassando i confini locali. Nel 1872, al termine di importanti lavori di restauro, si decise di dedicare il teatro all’ormai celebre Mariani; il resto è storia del Novecento: nel 1922 Giuseppe Verdi vi rappresentò con enorme successo il «Rigoletto» dirigendo l’Orchestra della Scala di Milano coraggiosamente scritturata da un impresario santagatese; nel 1993 Vittorio Gassman scelse questo teatro per registrare le letture della Divina Commedia per la Rai e subito dopo il presidente del Senato Giovanni Spadolini volle visitarlo definendolo «un tassello di cultura mondiale». Questi episodi segnarono la rinascita del luogo, sottoposto ad un rigoroso restauro terminato nel 2002.
Dal 2010 il «Mariani» di Sant’Agata è gestito da volontari (per visite 338.9213702) in collaborazione con il Comune.

FONDALI DI ROMOLO LIVERANI?
E veniamo al più stretto legame con Faenza, costituito dal notevolissimo apparato scenico di otto fondali dipinti e tradizionalmente attribuiti al nostro Romolo Liverani. L’attribuzione viene tuttora ripetuta, su opuscoli e guide, per ragioni stilistiche e perché Liverani effettivamente venne a    
Sant’Agata per realizzare gli eleganti addobbi della chiesa Collegiata. Tuttavia le ricerche di Franco Dall’Ara (Sant’Agata Feltria e il suo Teatro, 2018) hanno dimostrato come gli scenari santagatesi siano opera del ravennate Luigi Ricci, figlio del celebre Corrado, critico e storico dell’arte e Soprintendente ai Monumenti di Roma. Il sapore molto «liveraniano» delle tele, in particolare di quella, bellissima, con la veduta di Sant’Agata, dipende dall’epoca e dalla probabile ammirazione, al limite dell’emulazione, che Ricci nutriva per lo scenografo faentino.

E NEI DINORNI…
Per completare la visita ci sono le tre Fontane (quella della Lumaca fu voluta e disegnata da Tonino Guerra e realizzata a mosaico con 300mila tessere dal ravennate Marco Bravura) e l’eccezionale Museo delle Arti Rurali allestito all’interno dell’antico - seconda metà del ‘500, con chiostro e chiesa molto ben conservate e con una straordinaria pala dipinta da Pietro da Cortona - convento di San Gerolamo; si compone di due sezioni: arte sacra e arte rurale, rispettivamente con arredi e paramenti e manufatti di artigianato locale.
Nei dintorni, c’è solo l’imbarazzo della scelta: i castagneti di Mont’Ercole, il pittoresco paese di Perticara (con Museo delle Miniere, assai consigliabile) e il non lontano Marecchia (direzione Ponte Messa, dove c’è l’omonima pieve romanica, di straordinario interesse), dal greto talmente largo e assolato da far invidia ad una spiaggia.        
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