100 giorni di guerra in Ucraina, Andrea Caccia di CittAttiva: «I profughi vogliono essere produttivi».
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Nelle prime settimane di guerra centinaia di ravennati ci hanno portato abiti, prodotti per l’igiene ed alimentari, mentre ora il flusso di donazioni è calato nonostante sia aumentata la richiesta di aiuto da parte dei profughi. La guerra purtroppo non è finita e c’è ancora tanto bisogno di aiuto». Andrea Caccia del centro di mediazione sociale CittAttiva ha lanciato di recente questo chiaro messaggio rivolto alla cittadinanza che ha voluto ringraziare per quanto donato fin d’ora. Pur non organizzando più raccolte fondi, CittAttiva ha indirizzato chiunque volesse fare donazioni a Ravennasolidale (vedi articolo d’apertura) di cui fa parte con diverse altre associazioni. «Per due mesi abbiamo raccolto e distribuito beni perché se all’inizio dell’emergenza pochi altri si erano strutturati, poi Ravennasolidale e Caritas si sono organizzati quindi abbiamo deciso di spostarci sui corsi di italiano e sull’orientamento che gestiamo nella nostra sede in via Carducci». Con cinque corsi di italiano a CittAttiva ed uno nello spazio della cooperativa sociale Ancorama vicino ad Almagià, attivati grazie alla collaborazione di insegnanti in pensione o al lavoro che si rendevano disponibili nel pomeriggio, il centro ha dato una risposta a circa 75 cittadini ucraini per far loro imparare la nostra lingua. «I corsi da 20 ore per due incontri a settimana con una decina di volontari hanno richiamato tante persone ed è ancora attivo un corso misto: la maggioranza dei partecipanti è ucraina poi ci sono africani ed asiatici. Abbiamo registrato un calo di presenze di ucraini perché molti sono tornati a casa, alcuni hanno cambiato città ed altri hanno trovato un lavoro. Prossimamente ci piacerebbe ampliare il tandem linguistico per chi vuole proseguire dopo aver seguito il primo corso di italiano: vorremmo creare piccoli gruppi con un italiano e due ucraini per continuare a fare conversazione. Abbiamo fatto tanto, ma c’è ancora molto da fare: la mediatrice culturale mi ha informato che un centinaio di persone hanno già fatto richiesta di poter seguire un corso di italiano alla Casa delle culture. Gli ucraini sono un popolo molto rispettoso che non ama chiedere. Quelli con cui ho parlato sperano di tornare il prima possibile in Ucraina dai parenti perché, in Italia, sono arrivate famiglie smembrate perlopiù composte da madri con bambini. Alcuni che seguivano i nostri corsi l’hanno già fatto rientrando ad una settantina di chilometri da Kiev dove la situazione è più o meno tranquilla, altri sono stati costretti a far ritorno in patria perché la vita in Italia è costosa». La maggior parte dei profughi si è «appoggiata» da parenti o amici che vivevano già in Italia, altri, una minoranza, sono stati gestiti dai Caf. «Alcuni, con i propri risparmi, erano riusciti a prendere un appartamento in affitto a Ravenna o sui Lidi, ma sono dovuti rientrare non avendo trovato lavoro così come altri che non volevano gravare sull’economia domestica delle famiglie che li ospitavano. Inoltre il contributo dello Stato di 300 euro al mese più 150 euro per ogni minore fruibile per tre mensilità non è ancora arrivato. La maggior parte ha fatto richiesto di protezione temporanea ed ha lavorato tramite conoscenti e parenti, noi, ad esempio, abbiamo coinvolto alcune ragazze per dare un mano in un matrimonio italo- ucraino. I cittadini ucraini sono persone molto serie, orgogliose che vogliono passare il tempo in Italia in maniera produttiva, ma i profughi sono per la maggioranza madri con due o tre bambini da gestire e che non possono lasciare in casa per andare al lavoro». (m.c.)