Ravenna, In aumento gli incidenti mortali sul lavoro, l'analisi della Cgil
Federica Ferruzzi - Nel 2018 sono aumentate, in provincia di Ravenna, anche se di poco, le denunce di infortuni sul lavoro rispetto all’anno precedente. Un andamento in linea con i dati regionali, dove però ritroviamo anche una diminuzione rispetto al 2014 (86.442 nel 2018 contro 87.606 nel 2014). Se, infatti, cinque anni fa in provincia erano state 8.213, nel 2018 le denunce sono scese a 7.728 (nel 2017 sono state 7.630). Rispetto a due anni fa si denuncia di più sia in agricoltura che nell’industria e nei servizi (rispettivamente +0,59 e +0,94), così come a denunciare di più sono anche i dipendenti statali (+3,49%). Le segnalazioni riguardano soprattutto uomini e donne di età compresa tra i 40 e i 49 anni, seguiti da chi rientra nella fascia tra i 50 e i 59. Rispetto al 2017 sono aumentati gli incidenti mortali (12 contro gli 8 dell’anno scorso), soprattutto nell’industria, dove quest’anno sono stati 10, quattro in più dello scorso anno. Maggiori segnalazioni arrivano da stranieri, che fanno registrare un +6,10% (1.529 nel 2018 rispetto a 1.441 del 2017), soprattutto nell’ambito dell’industria +42%). Se nel 2018 le malattie professionali denunciate sono diminuite rispetto al 2014, risultano invece più alte del 2017 (775 contro 641), e l’ambito in cui gli incidenti sono maggiori è quello dell’agricoltura. «Purtroppo - commentano dalla Cgil - la società ha un moto di indignazione quando c’è un morto sul lavoro, ma dal giorno dopo tutto si dimentica. Mancano le condizioni politiche per affrontare questa problematica e abbiamo chiesto al Governo di aprire una riflessione con gli addetti ai lavori perchè siamo di fronte ad una strage». Per il sindacato a pesare è «la situazione di crisi che ha giocato negativamente, a cui ha contribuito la tendenza dell’industria di competere sulla riduzione dei costi. Per questo serve un approccio culturale per una riflessione che vada oltre la ricorrenza della Mecnavi e la giornata dell’Anmil. La più grande sconfitta dell’organizzazione sindacale è quando un lavoratore esce di casa per andare al lavoro ma non fa ritorno: vuol dire che in quella azienda e in quel posto non si è fatto tutto quello che si doveva e poteva fare». Rispetto al locale, «c’è abbastanza sensibilità, come dimostra il protocollo del porto, ma le buone pratiche si scontrano con il fatto che lavorare in sicurezza ha un costo. Il dato registrato l’anno scorso, a nostro parere, sarebbe dovuto essere diverso, anche perchè, con forte probabilità, le ore lavorate nel 2018 sono state meno rispetto ai dati pre-crisi». Tra gli obiettivi della Cgil c’è quello di lavorare sul tema del precariato, «perchè un lavoratore precario ha meno formazione. In proposito stiamo operando per investire su questo ambito, dove abbiamo messo a disposizione cinque esperti, un nucleo dedicato». Neanche sul calo delle malattie professionali c’è da stare allegri: «Purtroppo dipende dal fatto che, se nei piani di sicurezza aziendali queste malattie non sono specificate - ad esempio non si indica che svolgendo un determinato lavoro si può sviluppare una patologia al tunnel carpale - l’inail non riconosce la malattia e noi facciamo fatica a dimostrarla. Questo è ciò che sta avvenendo ed è da lì che dobbiamo partire per un ragionamento sulla valutazione della sicurezza, la cui cultura deve essere una condizione diffusa e tutti gli attori la dovrebbero assumere come vincolo stringente. Come dice Landini, la vera emergenza nazionale non è la sicurezza, ma la sicurezza sul lavoro: nel 2018 non si è registrato nessun morto per furto in abitazione, mentre ci sono stati 1133 decessi sul lavoro».