Ravenna, Il regista Marco Martinelli presenta la terza «anta» dedicata al paladino di Cervantes «Don Chisciotte è uno di noi»

Elena Nencini
E’ partita la prima chiamata pubblica, mercoledì 19 febbraio alle 20.30 al Teatro Rasi, per la terza ‘anta’ di «Don Chisciotte ad ardere», il progetto ideato e diretto da Ermanna Montanari e Marco Martinelli, fondatori del Teatro delle Albe, che vedrà cittadine e cittadini andare in scena a fine giugno insieme alle attrici e agli attori delle Albe. Il progetto, che si inserisce all’interno della programmazione del Ravenna Festival, è co-prodotto da Albe - Ravenna Teatro, Ravenna Festival e Teatro Alighieri.
Dopo Palazzo Malagola e il cosiddetto palazzo di Teodorico, l’ultimo atto del progetto triennalearriva al Teatro Rasi, in una complessa visione che vedrà svolgersi in città l’intera produzione. Marco ed Ermanna, al momento della telefonata, sono a Torino, seguendo lo spettacolo su Bernini: «Siamo passati da Genova a Bolzano, a Milano, non solo per Bernini che sta riscuotendo un grande successo con una fitta tournée in tutta Italia, ma anche perché a Torino stiamo lavorando all’università sul rapporto tra Dante e Majakovskij con 50 universitari, che alterniamo alle chiamate pubbliche».
Un teatro che da sempre per la coppia che ha dato vita al Teatro delle Albe, segue le direttrici del teatro poetico e politico, come sottolinea Martinelli.
Le chiamate pubbliche, il vostro rapporto con le persone si fondano proprio su un teatro sociale?
«Ci piace un teatro che si apre alla polis, alla città. A noi piace chiamarlo teatro politico e poetico più che sociale, perché è sempre sociale il teatro in quanto rispecchia la società. Abbiamo grandi e illustri modelli a questo proposito: basti pensare alla sacra rappresentazione medievale in cui la società si metteva in scena, era un rito in cui la vita di Cristo o dei santi diventavano una fede comune. Anche Majakoskij fa il suo mistero buffo. L’argomento di fondo non cambia, non cambia il legame tra artisti e cittadini, dai bambini fino agli ottantenni, per celebrare la vita con tutte le sue contraddizioni e bellezze».
Terza e ultima ‘anta’ per il progetto triennale dedicato a Cervantes, perché dopo Dante proprio Cervantes?
«Perché Don Chisciotte ci sembra l’icona più centrata di questi tempi bui in cui si affacciano nuovi totalitarismi, nuove guerre, e la società continua a impazzire e a tornare su vecchi fantasmi. Per uno strano paradosso è solo il folle Don Chisciotte che può sradicare questi incubi, noi amiamo questo cavaliere solitario che ci invita con la sua santa pazzia a ragionare. E’ bellissima l’invettiva che fa contro l’archibugio che può colpire l’essere umano a distanza: Cervantes dice “liberatevene, non vi rendete conto di dove vi porterà”. Oggi abbiamo i droni che ci distruggono più che la polvere da sparo. Oltre all’aspetto della follia e della sua forza politica l’altro apetto che innerva tutta l’opera è il gioco tra la realtà e il sogno, un labirinto diverso da quello di Dante che ci portava dal basso dell’inferno al sublime della luce. In Cervantes c’è un continuo passaggio da reale e onirico, molto vicino anche ai nostri tempi».
Dove si svolgerà?
«La prima cosa da pensare per uno spettacolo è sempre lo spazio: i corpi sono nello spazio, è fondamentale. Il primo luogo è stato palazzo Malagola, il secondo il palazzo di Teodorico, adesso i nostri erranti percorreranno tutte e tre i diversi spazi fino a spostarsi al Rasi, che sarà la terza location di questa nostra opera, toglieremo tutta la gradinata della platea per avere uno spazio enorme e una profondità fino all’abside. Così avremo un campo lungo per gli erranti: in questa ‘anta’ ritroviamo la coralità e tornano i cittadini: l’anno scorso ci eravamo concentrati sui due maghi e sulle tre figure di Don Chisciotte, Dulcinea, Sancio».
Il 2025 vedrà quindi tutte e tre le opere insieme?
«Si, sarà un viaggio lungo 5 ore, ma è il tempo giusto per comprendere la smisuratezza di quest’opera, un romanzo ampio, fluviale, di 1200 pagine. Tornerà anche la rock band dei Leda insieme a tutti i cittadini: partiremo con la maga Ermanita affacciata al balcone di palazzo Malagola per finire al Rasi dove troveremo ad aspettarci la rock band Leda, insieme a tutti e 200 cittadini».
C’è speranza nel finale di quest’opera?
«La terza anta non si chiude, si arriva alla morte di Don Chisciotte, ma non posso raccontarvi tutto adesso. Il nostro eroe dimostra che è una creatura mortale come tutti noi, ma ci dà uno sguardo di speranza. La speranza è il fatto stesso di prendere ad esempio questa icona irriducibile, non rassegnata, lui non cade mai, e se cade si rialza sempre. Del resto basta pensare all’etimologia di spes in latino che lo lega alla parola pes, cioè piede: cioè la speranza è essere in cammino».