Ravenna, Coronavirus, l'analisi dell'economista D'Angelillo "La produzione è calata del 10% e non saremo per forza migliori"

Ravenna | 17 Aprile 2020 Cronaca
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Federica Ferruzzi - Ogni mese di blocco costerà, in media, alla provincia di Ravenna, il 4,75% del pil totale, determinando un calo della produzione del 10% ed effetti a catena tra cui, quello tra i più evidenti, l’aumento della povertà. Sono solo alcuni dei dati forniti da  Massimo D’Angelillo, economista della Società Genesis di Bologna, secondo cui, al termine di queste settimane di clausura dovute al Coronavirus, non sarà scontato un miglioramento generale della società. Si sente dire spesso che si uscirà da questa situazione migliori, ma per l’economista questo dipenderà da diversi fattori.
«Partiamo dalla cosa più semplice - spiega D’Angelillo - i dati quantitativi. I numeri dicono che Ravenna e la Romagna saranno un po’ più colpite rispetto al resto dell’Italia perché il turismo qui incide maggiormente. Per ogni mese di chiusura paghiamo un prezzo del 4,75% e ci avviamo verso un calo della produzione del 10% (al di sopra del 7% causato dalla crisi del 2008). indubbiamente il colpo più duro dal dopoguerra che porterà alla chiusura di tante imprese e che determinerà effetti a catena. Alcuni settori si riprenderanno, perderanno qualche cliente internazionale ma terranno, se invece il turismo perde l’estate subirà un colpo non recuperabile».

AUMENTA LA POVERTA’
Questa situazione comporterà l’aumento della povertà. «Secondo i dati forniti da Caritas sono già raddoppiate le persone che si rivolgono ai centri di ascolto. Va detto che Ravenna ha un’economia che si è sempre dimostrata resiliente fin dalla crisi del gruppo Ferruzzi degli anni ’90 e questo è stato possibile anche grazie ad una ricchezza accumulata in passato e ad un’organizzazione familiare che ha consentito di superare momenti di disagio economico rispetto, ad esempio, a metropoli come Roma o Milano».

RIVALUTAZIONE DEL PUBBLICO
Dati quantitativi a parte, c’è un’altra partita, ed è quella legata all’aspetto sociale. «Gli italiani si sono comportati in modo ammirevole, diversamente dallo stereotipo che ci vuole individualisti ed opportunisti e che, ritengo, vada ripensato, così come dev’essere ripensato il ruolo della sanità pubblica e forse in futuro criticare il pubblico impiego non sarà più di moda. Servirà, però, anche un serio intervento dello Stato, che bisogna smettere di dissanguare non pagando le tasse. Da questa situazione ne uscirà una rivalutazione del ruolo pubblico e anche della scuola. Mi auguro cambi anche l’atteggiamento verso gli immigrati, che hanno dimostrato di saper fare la loro parte, anche se ritengo che i controlli alle frontiere dovranno essere fatti in modo serio».

TURISMO DIVERSO
«L’Italia è stata colpita nelle sue regioni più forti e sostanzialmente ha retto, ma la fragilità è stata evidente. Quello che ora spaventa è l’idea che possa ricapitare e questo ridurrà, da un lato, la propensione all’investimento, mentre dall’altro implementerà il ricorso alla tecnologia. Il turismo sarà diverso: ci saranno meno mega eventi e si punterà maggiormente su iniziative di dimensioni ridotte. Cambierà il modo di fare fitness, non più in grandi palestre ma in piccoli gruppi e all’aria aperta. Un altro aspetto riguarderà la burocrazia, che dovrebbe essere snellita. Da vent’anni le imprese italiane sono soggette a norme molto stringenti in materia di sicurezza, ma quando si è dovuto decidere quali aziende tenere aperte ci si è basati burocraticamente solo sul codice Istat. Questo significa che  alla fine queste norme non servono?  Sarebbe utile avviare una riflessione  in questo senso». 

CORONAVIRUS E AMBIENTE
Un’ultima questione è quella dell’ambiente. «Fa riflettere che le Regioni colpite siano esattamente quelle più inquinate, in testa le province di Bergamo e Brescia, dove si riscontra un maggior numero di tumore ai polmoni. Ne capisco poco, ma pare immediata la conseguenza tra polmoni già usurati e virus. Pare che le donne siano state meno colpite rispetto agli uomini e probabilmente perchè i dati ci dicono che svolgono lavori meno pericolosi (ad esempio ci sono poche donne che lavorano nelle fonderie di Bergamo) così come i bambini, i cui organi sono ancora perfettamente funzionanti. Bisognerebbe quindi ripensare l’intero modello di sviluppo, ma vedo che nessun politico ha avanzato un ragionamento di questo tipo».

COME NE USCIREMO
«Ne usciremo migliorati per il comportamento corretto e la solidarietà che abbiamo dimostrato, ma è presto per dire come saremo. Diventeremo migliori se il razzismo sarà in calo e se riusciremo a riflettere sugli errori burocratici o ambientali. L’effetto potrà essere una società più matura: i più anziani hanno il ricordo di guerra e miseria, ma i giovani non si sono mai confrontati con problemi di questo genere e questo potrà portare ad aumento di consapevolezza su ciò che conta davvero. Ma ci sono ancora diversi fattori che possono fare la differenza, ad esempio il nostro atteggiamento nei confronti dell’Europa. Qualora, malauguratamente, ne uscissimo, la situazione potrebbe solo peggiorare. Di sicuro, per il futuro dovremo imparare a convivere col Covid 19 così come si fa con i tumori».  
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