Premio Ubu a Lupinelli per lo spettacolo «Doppelganger»

Ravenna | 24 Dicembre 2021 Cultura
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Elena Nencini
Si chiama Doppelgänger lo spettacolo che ha ricevuto il premio Ubu 2021 per il miglior spettacolo di danza: è nato da una collaborazione tra il ravennate Maurizio Lupinelli di Nerval Teatro e la compagnia trentina Abbondanza/Bertoni, coprodotto da Armunia/Festival Inequilibrio di Castiglioncello.
Lupinelli, che ha fondato insieme a Marco Martinelli, nel 1991, la non scuola, oltre ad essere stato membro del Teatro delle Albe, ha intrapreso, nel 2007 un suo percorso personale insieme a Elisa Pol con Nerval Teatro, che intreccia l’attenzione alla drammaturgia contemporanea a un percorso dedicato ai diversi aspetti del disagio.
Doppelgänger vede in scena il danzatore Filippo Porro e Francesco Mastrocinque, che da anni frequenta il Laboratorio Permanente di Castiglioncello, un progetto di inclusione sociale attivo da circa 15 anni dedicato a persone diversamente abili. Chiediamo a Lupinelli la storia di questo Ubu e il percorso intrapreso. 
Lupinelli, vi aspettavate un Ubu per questo lavoro?
«Francamente no. Sapevamo che avevamo fatto un lavoro importante, un lavoro dove metti a contatto un danzatore con i fiocchi come Filippo Porro e Francesco (Mastrocinque nda), un ragazzo diversamente abile, che fa teatro con noi dal 2006. E’ stato un progetto che abbiamo pensato e voluto con una delle compagnie italiane più importanti nel mondo della danza contemporanea. Era già importante il progetto in sè: dal 2007 lavoro a Castiglioncello con Armunia in un laboratorio permanente rivolto a persone diversamente abili per cercare processi di integrazione e metodiche capaci di coniugare qualità artistica e rispetto delle peculiarità personali. Non vogliamo realizzare spettacoli per i genitori, ma prodotti che abbiano un loro impatto artistico come è successo qui. Ci abbiamo messo un anno a realizzare questo lavoro con Francesco: lui ha un buon rapporto con il suo corpo, ha sempre fatto sport, ha una grande sensibilità al movimento. A Riccione quando ha ritirato il premio sembrava avesse ritirato la Coppa dei Campioni».
Che tipo di lavoro avete affrontato per la ‘costruzione’ di questo spettacolo?
«Michele ed Antonella di Abbondanza Teatro si sono occupati delle coreografie, ma innanzitutto bisognava che ci fosse dell’empatia fra i due protagonisti, come due fratelli, poi abbiamo cominciato a lavorare sul resto. Sono corpi simili in un certo modo, anche se Francesco è molto alto, quasi 1.90 m., ma sono due corpi belli, muscolosi. Francesco aveva già lavorato con un danzatore e ha sempre fatto sport, bisognava però lavorare sulla memoria dei movimenti prima, poi sulla qualità dei gesti. E’ arrivato in maniera naturale il riconoscersi tra i due, quasi uno sviluppo simbiotico dell’azione fino ad arrivare alla solitudine e al groviglio di arti e luce, di suoni e silenzi; il tutto attraverso un processo di relazione quasi esclusivamente somatico».
Disabili e adolescenti rappresentano il filo rosso che unisce molti suoi lavori.
«Dal 1989 al 2006 ho prestato una particolare attenzione agli adolescenti con la non scuola e il Teatro delle Albe, ho sempre avuto dentro di me un‘attenzione verso il diverso. Lavorando con persone con disabilità ti rendi conto che sono loro a insegnarti il tipo di lavoro da fare, sono autori di loro stessi. Andiamo ad aprire delle questioni loro interne, ma dobbiamo dargli anche gli strumenti per chiuderle».
Come sta andando a Ravenna con le persone che frequentano i tre centri diurni?
«Stiamo lavorando con le cooperative La Pieve, San Vitale e Selenia. Sto cercando di coinvolgere tutte le realtà cittadine come Ravenna Festival, Cantieri Danza: mi piacerebbe far incontrare ai ragazzi tanti artisti diversi: per loro vuol dire conoscere nuovi saperi, nuove tecniche, nuove persone. I partecipanti hanno un’età sotto i i quaranta».
Progetti per il futuro?
«A Ravenna il mio sogno è di mettere in scena il Marat-Sade di Peter Weiss, un testo famosissimo, che c’entra molto con il mondo della differenza, della disabilità, ma con uno sguardo ironico, quasi comico. Vorrei coinvolgere anche i ragazzi della non-scuola in questo progetto sarebbe un bello scambio con i nostri ragazzi».
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