Il regista Quadretti è partito da Mancini per un doc su chi fa arte riciclando
Elena Nencini
Sono 4 gli artisti «Babelici» che compariranno nel documentario del regista forlivese Alessandro Quadretti, a cominciare da Renato Mancini, estroso artista di Fruges, che ridà nuova vita ai rottami metallici trasformandoli in sculture di animali, oggetti, omini, tanto che nel 1999 venne anche Osvaldo Bevilacqua a riprenderlo per Sereno Variabile, poi è stata la volta della trasmissione Geo&Geo e a settembre è finito sulle pagine di Vogue bambini in Polonia. É nel teaser (sorta di video promozionale) realizzato da Quadretti per il suo progetto «Babelici» che Mancini racconta come è diventato un ‘babelico’.
Come spiega Quadretti i Babelici sono artisti irregolari che hanno realizzato - fuori o ai confini dell’ufficialità e del mercato dell’arte - un proprio universo immaginario. Storie affascinanti e inconsuete.
Da dove nasce il nome di Babelici?
«Li chiamo Babelici dal sito “Costruttori di Babele”, che pone attenzione alle opere inusuali, spesso molto curiose che non rientrano nel mercato dell’arte. Sono cose molto belle, ma non convenzionali, che trovano spazio nel giardino di casa o in luoghi diversi, realizzati in legno, sassi, cemento, rottami. Si tratta di arte naif non convenzionale, che utilizza oggetti che se no non avrebbero più vita».
Quadretti, in cosa consiste il progetto dei Babelici?
«Sarà un documentario in forma di lungometraggio. Ho iniziato le riprese, ma per il momento sto realizzando solo il materiale promozionale (i teaser) in maniera tale da poter trovare sponsor per i finanziamenti. Da novembre partirà infatti anche un crowfunding».
Chi saranno i protagonisti del documentario?
«Il massese Renato Mancini di cui ho già fatto il teaser; Emilio Padovani di Imola che realizza sculture, dinosauri, con sassi, Elio Cangini, un ottantenne forlivese, che è un vero accumulatore seriale, realizza costruzioni in legno, cemento, sassi. Ha un suo spazio che riempie fino allo sfinimento. E l’ultimo mi piacerebbe che fosse Alberto Manotti, il re del Po, un personaggio fantastico che però non ho ancora contattato. Si tratta di artisti autodidatti, operai, artigiani che una volta in pensione hanno usato la propria manualità per creare un loro universo. Producono e non si fermano mai. Un documentario che li riguardi, sul territorio emiliano- romagnolo non esiste ancora. Spero di completarlo nel 2018».
Come regista da dove ha cominciato?
«Ho 43 anni, ho fatto la scuola di cinema a Milano, poi l’università e quindi ho deciso di tornare in Romagna, dove vivo meglio. Ho creato una cooperativa, Officinemedia, per riuscire a dare forma a questo lavoro. Da qualche anno mi occupo di documentari, video musicali, eventi, e da circa quindici d’anni cerco anche di insegnare questo mestiere».
Un sogno nel cassetto?
«Mi sono tolto lo sfizio di fare il primo film non documentario, un’avventura molto complessa, autoprodotta, che si chiamava Espero. Sono tornata ai documentari che sono meno difficili da produrre. Ma non finisce qui: vorrei fare film di finzione. Sono molto legato al cinema d’autore italiano e europeo, a registi come Fellini e Antonioni, ma anche a David Lynch. Mi interessa raccontare storie, certamente non sono uno che ama il cinema d’azione o il fantasy».