Il professor Giuseppa Ledda curatore delle «Letture Classensi» racconta oltre 50 anni di studi
Elena Nencini
Sono oltre 50 anni di «Letture Classensi»: dal 1965 infatti a Ravenna si tiene questo appuntamento nato per presentare lo stato degli studi sull’opera e la figura di Dante. A curare l’edizione 2020 è Giuseppe Ledda, professore all’Università di Bologna, dove insegna Letteratura e critica dantesca e Filologia dantesca. Il suo principale campo di ricerca è costituito dagli studi danteschi e medievali. I suoi lavori danteschi più recenti si concentrano sul rapporto con la cultura classica; il riuso dei modelli biblici e agiografici; le similitudini animali e il loro rapporto con il bestiario medievale; l’ineffabilità nei suoi aspetti retorici e teologici; la ripresa del modello dantesco in Boccaccio e in Petrarca. Il tema delle «Letture» di quest’anno, curato dall’assessorato alla Cultura e dall’Istituzione Biblioteca Classense, è una sorta del meglio dei libri scritti su Dante. Ledda ci racconta perché.
Qual è il tema di quest’anno?
«Le “Letture classensi” costituiscono un momento alto di studio e di dialogo con la comunità scientifica internazionale. Nel 1968 si decise di iniziare la pubblicazione delle conferenze che i più illustri dantisti tenevano in città. Il primo volume raccolse le “Letture” presentate nel 1965, in occasione del Settimo centenario della nascita del poeta, nella Sala Dantesca della Biblioteca Classense. Si trattava dei contributi dei maggiori dantisti italiani e stranieri ma anche di scrittori, poeti, filosofi, storici, linguisti, filologi, classicisti, studiosi di letteratura contemporanea e di letterature straniere. Ravenna diventa in queste occasioni uno spazio di intersezione e di confronto fra competenze diverse. Il ricorrere dei cinquant’anni dall’avvio della pubblicazione di questa rassegna ha portato a fare un bilancio di questa esperienza bellissima».
Perché continuare a scrivere oggi di Dante?
«E’ la domanda che mi facevano i miei compagni di scuola quando ero un ricercatore: “Cosa ricerchi a fare su Dante? Cosa c’è da dire di nuovo?”. C’è tutto di nuovo su Dante, è un autore di una tale ricchezza, complessità, densità che ogni tempo lo interroga, si pone domande nuove, presenta nuovi problemi e scopre nuove risposte, possibilità di lettura e di interpretazione, anche grazie a nuove intersezioni con altre competenze scientifiche. Come per esempio gli studi linguistici, filologici, stilistico-retorici, storici. L’avanzamento dello studio sulla cultura medievale ci permette di capire meglio tanti aspetti della poesia di Dante».
Gli appuntamenti di quest’anno sono tutti online causa covid: ‘di necessità si fa virtù’?
«Non dobbiamo dimenticarci che ci troviamo in una situazione di emergenza tragica che non abbiamo mai vissuto. Siamo generazioni fortunatissime, vissute in tempi di pace e prosperità. Siamo impreparati a cogliere la portata di questo momento. Dobbiamo partire da questo: nessuno pensa che gli eventi debbano essere svolti on line e basta. Tutti vogliamo fare eventi in presenza. Per l’emergenza abbiamo la fortuna che siamo riusciti a portare avanti tante attività che non avremmo fatto qualche anno addietro. Uno degli aspetti positivi di questa emergenza è stata che si sono potuti creare un’infinità di eventi, di conferenze, di convegni utilizzando piattaforme su internet anche perché hanno un costo zero permettendo la partecipazione di studiosi da tutto il mondo. In futuro si dovrà riprendere a fare convegni in presenza, ma dovremo pensare anche alla possibilità di fare eventi in rete, coinvolgendo un pubblico più ampio e internazionale».
Non si rischia di forzare un po’ la mano quando si parla dell’attualità di Dante, per esempio a proposito dell’Europa unita?
«Si, non c’è bisogno di tirare Dante per la giacchetta su posizioni politiche che non gli appartengono. L’idea di Impero che lui ha non a niente a che fare con l’idea di Europa unita. Sono cambiati tanti elementi, strutture, la politica, la società, ma si possono cogliere delle idee. Perché Dante, uomo del Comune, legato alla dimensione municipale, coglie l’importanza dell’Impero? Dante si rende conto dell’ingiustizia, del conflitto endemico della dimensione politica, cerca allora, forse in modo utopistico, ingenuo, di immaginare delle istituzioni universali che possano regolare i conflitti all’interno delle città, tra regioni, Stati non sulla base della violenza, del potere, ma della giustizia. La sua idea è la Giustizia: Dante pensa che l’uomo possa essere felice in una società giusta».
Quando viene a Ravenna compie un gesto simbolico davanti alla tomba del Poeta?
«Ogni volta che arrivo a Ravenna passo davanti alla tomba, non mi fermo nemmeno alle volte, non ce ne è bisogno. Mi basta creare un contatto visivo, rivolgere un pensiero di gratitudine. Ho scoperto Dante nella mia seconda laurea, intorno ai 28-30 anni ed è arrivato come un dono inaspettato. E’ una porta sul mondo, sulla scienza medievale. E’ un autore che ti porta ad esplorare continuamente il mondo medievale, oltre alla possibilità di lavorare con colleghi internazionale di grande valore».