Iannucci: «Migliaia di musulmani a Ravenna, sogno una moschea in ogni quartiere»

«Più luoghi di culto ci sono, meglio è. Il mio sogno è che ci sia una moschea, anche piccola, in ogni quartiere della città. I musulmani a Ravenna sono qualche migliaia». Marisa Iannucci, italiana convertita all’Islam, è la portavoce del comitato « Una moschea per la città» e presidente dell’associazione Life Onlus: «Frequento da sempre la moschea Attaqua della Darsena, di cui abbiamo festeggiato lo scorso anno il decennale. È stata tutto sommato un’esperienza positiva. A parte qualche episodio legato a persone singole che hanno chiamato i vigili per controllare che fosse tutto a posto, specie di venerdì quando c’è maggiore affluenza per la preghiera, non abbiamo avuto problemi. Certo, c’è sempre la percezione che la nostra visibilità possa urtare qualcuno. Le comunità musulmane, in generale, sono stigmatizzate e identificate come altro perché non considerate parte della comunità». In questo senso, guardando alla moschea delle Bassette, secondo Iannucci la scelta di costruirla lontano dalla città non è stata coraggiosa: «Non voglio dire che nelle intenzioni politiche ci fosse quella di spostare i musulmani lontano dagli occhi dei ravennati. Dico, però, che nei risultati un luogo di culto così dislocato non favorisce conoscenza reciproca e integrazione. Quella moschea ha una connotazione ben precisa dal punto di vista architettonica, una capienza di quasi 200 persone. Ma la geografia degli spazi riflette un modo di pensare, una cultura. Posizionare una moschea fuori città, in mezzo a una zona artigianale, la dice lunga su molte cose». Ma al di là di queste riflessioni, per Iannucci problemi reali e concreti di integrazione, in generale, a Ravenna non ce ne sono: « Nonostante anche a me, donna col velo, succedano spesso episodi di discriminazione, che solo in un caso su molte decine denuncio pubblicamente sui social, in questa città non vedo difficoltà particolari nell’accoglienza e nell’inclusione delle persone straniere e musulmane. Ecco perché continuo, nonostante tutto, a essere positiva. E lo sono anche guardando ai bambini e a mio figlio, che ha dieci anni. Tra i più piccoli non ci sono sovrastrutture, c’è umanità. Un’umanità che non scompare, a meno che non si mettano di mezzo gli adulti con le loro aberrazioni e i loro pregiudizi».