Farinelli (Bambini spa) guarda al futuro, dopo la conclusione del patto concordatario

Ravenna | 01 Agosto 2021 Economia
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Elena Nencini
Quattro anni difficili per la Bambini spa, l’azienda di Marina di Ravenna che si occupa di servizi di appoggio offshore e rimorchio: si è conclusa infatti la procedura concordataria e questo prelude ad un nuovo percorso di crescita in bonis (quando un’azienda è solvibile, cioè in grado di restituire un prestito secondo le modalità prestabilite e concordate con l’istituto di credito nda).
L’azienda era entrata in concordato preventivo il 1° giugno 2017, a seguito del quale è stato presentato un piano concordatario in continuità aziendale, approvato dalla maggioranza dei creditori che oggi sono stati saldati.
Ugo Farinelli, dell’ufficio commerciale della Bambini spa, spiega la situazione attuale dell’azienda e i nuovi obiettivi.
Quali sono i servizi che offrite?
«Tutte le esigenze legate alle necessità del settore dell’energia, fornendo dal trasporto delle maestranze, alla fornitura di acqua potabile e combustibili, al trasporto di merci pericolose, comprese le sostanze radioattive, al trasporto dei rifiuti, ai servizi di appoggio ad operazioni subacquee, Rov, geofisiche e movimentazione ancore, a servizi di rimorchio d’altura».
Quante persone lavorano in azienda al momento?
«Circa 240 persone, cifra che tiene conto del personale italiano, ma anche di quello presente sui mezzi all’estero in ottemperanza delle regole locali. Del resto siamo i taxi del mare, il vero core business dell’azienda, fin dagli inizi degli anni ‘60, quando è stato perforato il primo pozzo offshore a Ravenna che serviva per l’industria chimica. E sono cominciate le esplorazioni a mare. Mario Bambini, padre dell’attuale amministratore Gianluigi, era pronto a noleggiare la propria barca per una settimana. Ha saputo cogliere questa opportunità, dimostrando lungimiranza, anche se gli altri pescatori all’inizio erano diffidenti. Abbiamo navi polifunzionali adibite al trasporto delle persone, con standard molto elevati. Abbiamo sempre lavorato con unità veloci tipo crew boat e Fast Support Intervention Vessel. Anzi in Italia siamo stati i primi ad utilizzare navi in alluminio, più leggere e più veloci. L’efficienza è rimasta nelle corde delle nostre attività. Sono navi che consumano relativamente poco rispetto ai mezzi della concorrenza, con un’attenzione alla sostenibilità. Pensiamo in futuro di fare anche meglio». 
Di quanti mezzi disponete?
«18 in totale. Siamo piccoli, una media azienda, con unità dislocate in Italia e in diversi stati dell’Africa occidentale. Abbiamo operato anche in Croazia e nel bacino del Mediterraneo. Dal 2001 portiamo avanti un’esperienza in Congo, ma siamo presenti attualmente anche in Angola e Guinea equatoriale. Abbiamo operato in Camerun, Gabon, Mauritania. Abbiamo coperto tutta l’Africa occidentale, andiamo dove ci sono le grandi aziende dell’energia». 
Oggi il 60% del vostro lavoro è all’estero in quali paesi lavorate maggiormente?
«Come le dicevo, in particolare in Africa occidentale: in Congo sono concentrati il maggior numero di mezzi, ma sono unità operative delocalizzabili in maniera relativamente semplice così possiamo coprire anche aree limitrofe».
Si tratta di zone difficili da un punto di vista politico, con governi instabili e la presenza di pirati del mare. Vi dà preoccupazione?
«E’ il nostro grande cruccio, abbiamo in opera le procedure previste dalla comunità internazionale per fare in modo che siamo oggetti poco appetibili e meno vulnerabili, con barche veloci e compatte. Inoltre in questo momento lo Stato italiano sta garantendo la presenza di mezzi della Marina militare nel golfo di Guinea. E’ un importante segnale. Non bisogna abbassare la guardia da nessuna parte. Bisogna anche considerare il difficile contesto in cui si opera, in paesi remoti, dove non è difficile imbattersi in imbarcazioni di pescatori alla deriva o allo stremo».
La crisi dell’offshore ha influito sul vostro lavoro?
«Si, in maniera pesante. Abbiamo dovuto trovare il lavoro altrove. Prima l’estero era una nicchia, adesso è il contrario. Non condividiamo le scelte che sono state operate politicamente sul settore offshore: bisogna guardare a 360°, non ci sono solo le logiche ‘non nel mio cortile’. Per la transizione ecologica bisogna salvaguardare l’ambiente, ma anche la sostenibilità sociale. Il gas naturale è un vettore energetico importante per la transizione verso fonti rinnovabili. Si decide di non produrlo in Italia, ma poi viene acquistato all’estero: il 30% del gas che viene trasportato nei gasdotti, viene bruciato e l’anidride carbonica prodotta viene rilasciata in atmosfera. Solo il 70% arriva a destinazione. Sarebbe meglio pensare a un gas naturale a km zero, prodotto dove serve, dando la possibilità a chi ci lavora di adeguarsi nel tempo. I nostri mezzi navali sono adatti a lavori tradizionali ma anche per le energie rinnovabili. Abbiamo partecipato a progetti legati all’energia da recupero del moto ondoso, alle installazioni di pale eoliche, a modifiche di impianti per il miglioramento della sostenibilità ambientale e a supporto dell’economia circolare».
Un momento difficile che si conclude dopo 4 anni e apre nuove possibilità?
«Siamo un’azienda in bonis, è stata una brutta parentesi, ma come tutte le vicende della nostra vita bisogna prendere spunto per fare meglio. Tecnicamente il 1 giugno 2017 avevamo il portafogli vuoto. I nostri advisor dello studio BP di Rimini e Bologna ci hanno sostenuto in questo processo di ristrutturazione aziendale. E’ stata una promessa ai creditori, ai quali sono stati richiesti dei sacrifici. La continuità aziendale consente che il reddito prodotto dall’azienda possa essere utilizzato per pagare gradualmente i creditori. Ciò ha consentito la sopravvivenza dell’azienda e la salvaguardia dei posti di lavoro, oltreché il mantenimento di questa realtà operativa in Italia. Abbiamo chiuso la parte ufficiale ma c’è ancora molto da fare, relazioni da ricostruire. Dobbiamo ringraziare i nostri clienti per la fiducia: non abbiamo perso un solo giorno di noleggio. Anche i dipendenti sono stati comprensivi ed hanno creduto nell’azienda. Con la crisi del settore dell’offshore ci siamo trovati in una situazione di pesante indebitamento derivante dai corposi investimenti per mezzi navali. Le banche del territorio, in particolare la Cassa di Ravenna, hanno creduto in noi e ci hanno confermato la loro fiducia., anche a causa di investimenti nei mezzi, per fortuna le banche hanno creduto in noi. L’azienda può ora recuperare uno status di operatività normale e, così, riprendere il proprio percorso all’insegna di una ritrovata energia e una rinnovata speranza».
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